«Voglio dire che la povertà giace davanti alla porta accanto per questo vi chiedo dal mio cuore di prestare sempre attenzione, mai indifferenza»
Questa è una storia che parla di coraggio e di sopravvivenza dal di dentro delle nostre Città. L’urlo di chi grida a squarciagola per segnalare sommessamente la presenza
Il coraggio di non arrendersi di fronte alla prospettiva di un destino beffardo e inevitabile ma di affrontare la sofferenza sulla propria pelle, di incarnarla non soltanto per un personale miglioramento ma per condividerla, renderla testimonianza viva e farne bene comune.
«Descrivere se stessi appare la cosa più semplice da fare, ma non è mai così. Probabilmente è per questo che uno dei primi temi assegnati dalle maestre a scuola si intitola proprio “Prova a descrivere te stesso” e la stessa domanda ci accompagna in molti momenti della nostra vita.
Io sono Alessandro Pellegrino, nato a Canosa di Puglia, il 7 Aprile ho festeggiato i miei 28 anni. Attualmente risiedo ad Andria nella Casa Famiglia “San Vincenzo de’ Paoli” con altri 6 fratelli di età, paesi e colore diverso, che non ho scelto.
La mia è una storia segnata sin dalla nascita da fame, freddo e povertà. Da neonato fino all’età di 13 anni con la mia famiglia ho alloggiato in dimore di fortuna presso le campagne periferiche di Canosa, con assenza di acqua potabile ed energia elettrica. Ho frequentato le scuole elementari, poi le scuole medie, perché, nonostante la miseria, i miei genitori mi hanno trasmesso dignità e una sana educazione ma lascio a voi immaginare le condizioni in cui si verteva, perché ricordare mi fa troppo male.
La prima vera casa io l’ho vista e abitata all’età di 14 anni, appena iscritto all’Istituto Professionale per il Commercio. Nonostante gli stenti, il disagio e le difficoltà relazionali dei miei genitori ho conseguito il diploma. Nel contempo ho sempre ricercato lavori pomeridiani per aiutare a soddisfare i bisogni primari personali e della mia famiglia.
Poco tempo dopo, avevo circa ventidue anni, a mio padre diagnosticano un carcinoma maligno allo stomaco. 365 giorni di calvario, che segnano il corpo di mio padre, portandolo via tra le mie braccia. Un anno ancora e mia madre non c’è più, anche lei passa a miglior vita, ancora una volta lascio a voi immaginare perché ricordare mi fa troppo male.
Orfano tra le mura dei miei cari cerco di rielaborare il lutto per riprendere la mia vita, con me c’è mia sorella e il suo compagno. Passa un anno, ma le incomprensioni caratteriali tra me, mia sorella e mio cognato si acutizzano al punto, che decido di andare via da casa e vivere per strada.
Per due anni rimango errante per le dimore di fortuna e la villa comunale di Canosa. Nell’indifferenza generale che mi circondava, non passava giorno che non chiedevo a me stesso: che ne sarà della mia vita futura? Mentre cercavo risposte mi ricordavo di avere quasi 25 anni.
Il 24 Dicembre 2014 nel tam tam generale della vigilia di quel Natale, qualche uomo e donna di buona volontà si ricordano che esisto.
Alle ore 12 arrivo ad Andria e la casa famiglia San Vincenzo de’ Paoli mi accoglie festante, con pettole, panzerotti e tanta umanità.
Lascio a voi ora immaginare cosa significano per me i regali di Natale.
Da due anni e mezzo vivo nella Città di Andria e, grazie all’opera quotidiana di volontari e collaboratori della Comunità Migrantesliberi, ho ripreso a descrivere me stesso con più fiducia e coraggio. Lavoro presso un esercizio commerciale come aiutante, vivo in una casa con televisione, riscaldamento, acqua e luce e non mi sento più abbandonato perché c’è una famiglia, che ha cura di me. Per cui questi ringraziamenti non sono accademici e dovuti, ma umani e sentiti dalle viscere del mio esistere.
Ringrazio innanzitutto una donna umile, silenziosa e schiva, per me ‘mamma Teresa’ l’operatrice della Casa Famiglia San Vincenzo de’ Paoli, che attraverso il suo ascolto e il suo servizio mi ha permesso di sanare le mie ferite, causate da un abbandono precoce dei miei genitori.
Ringrazio Don Geremia, Alba, Francesca, Santina, Antonio… (non posso elencarli tutti perché sono tantissimi) e tutti i volontari e collaboratori della Comunità, perché senza di loro starei ancora tra le campagne di Canosa come un mendicante.
Sì, Canosa di Puglia vi ricordo è a 15 km da Andria; voglio dire che la povertà giace davanti alla porta accanto per questo vi chiedo dal mio cuore di prestare sempre attenzione, mai indifferenza»
Nelle storie di sofferenza, che incontro quotidianamente mi ritrovo a constatare che chi vive un forte dolore, tende a distaccarsi dalle cose e dalle persone e a ricercare la solitudine. Questo perché chi non trova un senso nel dolore lo vive come il simbolo di un fallimento più inquietante, come annuncio dell’incombenza dell’assurdo, al punto che qualunque aiuto può arrivare a essere respinto. Solo chi ha il coraggio di attraversare completamente la sofferenza può capire come non farsi vincere dal dolore, ma trasformarlo in forza motrice capace di generare speranza.