Apostles Peter and John hurry to the tomb on the morning of the Resurrection, 1898. Cambas, 82 x 134 cm RF 1153

Di te ha detto il mio cuore: «Cercate il suo volto»;
il tuo volto, Signore, io cerco.
(Sal 26,8)

Una corsa. Una folle corsa. Quando ancora una volta tutto tace. Nulla è più opportuno, nulla è più doveroso, naturale al cospetto del Grande Mistero. Un silenzio vergine, casto, che avvolge i pensieri, irretisce i sensi, blocca le parole, le avviluppa forte per non permettere che scappino via e deturpino la purezza di quell’istante. Ogni cosa è in attesa, le chiare luci dell’alba sono prime note di colore nel glorioso acquerello del mattino di Pasqua. Ogni cosa si prepara a riaccoglierlo. Lui. Principio e Fine, senso profondo, chiaro, nascosto. Lui. L’«Uomo dei dolori che ben conosce il patire», risorto, dal volto non più sfregiato ma trasfigurato, risplende nella notte. Una brezza di vento.

L’Uomo Redentore, morto per amore, condannato per la libertà di tutti, costretto alla tortura infame, è salito sulla croce e, stendendo le Sue braccia ha abbracciato e redento il mondo.
Un sepolcro, un buco nella roccia lo ha accolto, lo ha custodito, lo ha protetto. Formatosi nel caldo grembo di Maria, carne e carne, sangue e sangue, ad una cavità nella pietra è data la grazia di partorirlo alla seconda vita.
Si schiudono i sepolcri, si rotolano le pietre, perché la luce sia libera di giungere ad ogni uomo.

È fondamentalmente un gioco di sguardi l’annuncio della Risurrezione.
È meraviglioso provare a immaginare i volti di ciascuno dei protagonisti di quel mattino santo, come dei primi piani, soggetto per soggetto.

Corrono speditamente, tutti, mentre portano l’annuncio, portatori di una gioia indicibile. Corrono senza stancarsi, coi sandali che sollevano tanta polvere e si consumano sulle pietruzze della strada e il sudore che inumidisce la schiena e permea le vesti e le fronti lucidissime.

Che cosa li spinge a correre in quel modo se non la ricerca, il bisogno bruciante di quel volto, quello del loro Maestro! Trovare quel volto significa avere la certezza, l’assoluta sicurezza che la morte non può più nulla. Quel viso tumefatto, schernito, coronato di spine, quegli occhi insanguinati che dall’alto della croce hanno perforato il cuore del centurione più profondamente di quanto egli abbia fatto con la lancia al Suo costato, adesso è un sole raggiante, speranza dei miseri, dei poveri, vanto degli umili.

Loro, i discepoli, sono perfetto esempio della «Chiesa in uscita» che porta a tutti la bella notizia della Resurrezione del Cristo: non riescono a trattenere la gioia di quel mattino, non possono trattenerla per sé. È uno schierarsi netto dalla parte della vita, è un mettersi in moto senza paura di stancarsi, di farsi male, di apparire ridicoli. Quanta gente avrà riso di loro, puntando il dito e tacciandoli come dei pazzi forsennati che corrono senza senso.

L’amore per quel volto è sufficiente per muoversi, col sorriso sul volto e il cuore che batte inarrestabile in gola. Chissà se saranno creduti, chissà se il loro annuncio feconderà il cuore di altri. In fondo, la notte della morte, le fauci del sepolcro hanno già inghiottito Colui che diceva di essere «la Via, la Verità e la Vita» già una volta.
Ma quel mattino ha un profumo di «per sempre», quella luce ha il sapore inspiegabile di eternità.

Eppure non basta, non basta quella speranza.
Gioie violente spesso, come direbbe Shakespeare, hanno violenta fine, e talvolta capita che lo sconforto prenda possesso delle nostre attese infrante, tanto che Maria di Màgdala scoppia in lacrime, avvolta dalla solitudine, Pietro, nonostante lo abbia incontrato, torna alla sua vita (oramai infeconda) di pescatore. Ma il Signore torna sempre a infondere loro il coraggio necessario per riprendere il cammino.

Sono passati giorni da quel mattino, quando noi abbiamo celebrato dopo duemila anni l’ennesima Pasqua e abbiamo ripercorso gli eventi di quella notte antica e sempre nuova. La gioia di quella notte santa può esser stata di nuovo assorbita dal piattume della quotidianità, delle mille cose da fare, delle preoccupazioni vane. La morte potrebbe essersi di nuovo insinuata nelle attese dei nostri giorni, la delusione bruciante potrebbe spegnere di nuovo la luce dei nostri occhi.
Ma il Signore continua a donarci la Sua pace, e continua a spronarci ad entrare dentro di noi per uscire poi incontro all’altro. Come Egli che, morto, scende negli inferi a riprendere il vecchio Adamo, anche noi siamo invitati a riprendere la parte più ferita del nostro io, relegata nella prigione sotterranea del nostro cuore, ad accoglierla, a baciarla, abbracciarla e a intraprendere il cammino per uscire ed essere portatori di Risurrezione.

Non dobbiamo preoccuparci di essere fragili: la nostra è costantemente, come abbiamo cantato nel Preconio nella Veglia una «felice colpa che meritò un così grande Salvatore». Nel nostro essere «Chiesa in uscita», «Chiesa samaritana» abbiamo un Dio che viene già a colmare le nostre mancanze, debolezze, inconsistenze.

Siamo noi, con la nostra vita cambiata, rinata, rinnovata che testimoniamo che la Risurrezione del Signore non è un evento miracoloso del passato ma è un passaggio che oggi, qui ed ora, ogni giorno coinvolge le nostre vite. Alla scuola del Risorto noi impariamo a risorgere, a passare dalle morti quotidiane alla vita piena. Non c’è annunzio più bello che una vita concreta che manifesta senza vergogna la Rinascita alla vita nuova.
A noi viene solo chiesto di alzarci e correre, correre verso la meta, con la luce del mattino di Pasqua negli occhi senza temere il fallimento, e urlare al mondo che Cristo è risorto veramente… e noi con siamo risorti con Lui.


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Solo una cosa mi descrive perfettamente: un irrefrenabile istinto verso la scoperta e la conoscenza di me stesso, nelle situazioni e nei contesti. Le mie radici traggono quotidianamente nutrimento da Cristo, dalla musica e dal cielo, in qualunque sfumatura questo decida ogni giorno di mostrarsi a me. Un po’ come il Piccolo Principe di De Saint-Exupery, peregrino di pianeta in pianeta, scoprendo, vivendo, osservando, arricchendomi e mettendomi sempre in discussione. Il mio cuore, però, appartiene solo alla mia rosa. Ricerco e ascolto. Dove andrò? Non lo so…