Lettera a un Leader sotto le note di una sinfonia
Ogni inizio è importante! E dopo ogni fine C’È un nuovo inizio. Questa non è lezione di dialettica, questo è il semplice e irremovibile susseguirsi delle cose del tempo e della vita. Guai a cambiarlo, a ingegnarsi nel tenerlo fermo si sbaglia, vuol dire impedire il ciclo, la fine, vuol dire cadere in utopia. Andare contro queste leggi non è la natura, ma è prerogativa dell’essere umano. L’uomo, l’apoteosi, l’immortalità! L’immortalità non sta nell’Opera, ma nello Spirito. Nelle leggi che lo governano. L’opera col tempo si può distruggere, deperire, può essere rubata, imitata. Basta vedere. L’infinito del divino sta nelle leggi, la sua migliore Opera, nell’assemblaggio logico di tutto ciò: Tu insieme, sempre senza firma sotto. Senza diritto d’autore. Opera che si deve intendere, si deve contemplare, con cui interloquire, da cui trarre vantaggi, ma senza mai appropriarsene; appropriarsi vuol dire non saziarsi, vuol dire chiudere gli scrigni e le casseforti e chiudersi…, isolarsi anche avendo l’impressione di essere libero di poter fare tutto. Mentre non stai facendo quello per quale eri predestinato.
Il senso della misura. Vuol dire oltre il saper fare e conoscere, vuol dire avere un dono di cui Colui che ti ha fornito ti ha dato comprensione e autoconsapevolezza, coscienza di sé. Saperlo metterlo in gioco senza snaturarlo è agire come quella signora di casa che nel prendere il sale SA il giusto senza pensarci due volte, anche se non si tratta dello stesso cibo. È la sua sicurezza, la naturalezza dei gesti ripetuti instancabili dalla notte dei tempi, che crea l’armonia, la grandiosità, il divino- misura-tempo-calore-passione costante perseveranza-pazienza: fino all’illuminazione (apoteosi) che, senza capire, lascerà traccia nelle cellule, in tutti i sensori del strato della corteccia e nei substrati, si plasmerà nella unità e verrà intrisa e trasmessa all’infinito, nell DNA, nell’insieme che condividi pur essendo unico. Eppure, al contrario di questo apprezzamento, sarai sempre un piccolo uomo, a prescindere dalla tua statura.
L’immortalità. Im-mortale è proprio io, l’uno nella sua solitudine, ibernazione che conserverà eternamente anche il male, inviolato. Il bene dell’Opera e la ricerca di migliorarla sempre, oltre l’amplificazione del ciclo, e contribuirà all’immortalità con l’eterno col divino. E poi: saper uscire di scena. Ritirarsi, non è la parola esatta, uscire, continuare a fare quello che facevi prima, svestirsi delle vesti momentanee della cerimonia. Andare per la tua via e ritrovarla, riprenderla, perché la gloria non ha altro antidoto, tranne tenere la rotta, uscire dal labirinto, saper prendere equilibrio dopo l’estasi, abbracciare il timone, e stare retto come un pilastro, come un obelisco, di-venire esempio visibile, e indicare il cielo in su, come prolungamento del raggio luminoso del padre (diventando visibile per i mortali), l’ombra sugli uomini e sulla terra (paradosso), con l’assenza di luce, indice dell’ora giusta nello scorrere e moto perpetuo. Per dare eleganza e voce alle ultime battute. E così la scena si chiude, la tenda pesante ed oscura si abbasserà lentamente sulle ultime note, soffiate dal vento, tra lo scroscio degli applausi in platea e l’aula che converge su di te, come giusto prezzo dello stato di grazia ed entusiasmo ricevuto in cambio. Semplicità del gesto, universale meccanismo per concedere il bis.
Silenzio! Limpidità.
Poter vedere chiaro all’infinito del orizzonte, dal punto in cui stai, con il sole dietro le spalle, tenendo il bastone, per scrutarlo, la mano poggiata sulle spalle del discepolo, fargli vedere e indicare la sua meta come è giusto e naturale che sia. Fine!
Andare per la propria via e non perdersi nel labirinto della vita …..impegno non semplice per noi comuni mortali !!!