Il nuovo film diretto da Gianni Amelio
Lo “stomaco sociale” delle formiche è così detto perché consente loro di nutrire non solo se stesse ma anche gli altri, facendo provviste per una comunità nella quale tutti si aiutano a vicenda. Basterebbe questa metafora a spiegare l’intento pedagogico de “Il Signore delle Formiche”, pellicola presentata in concorso alla 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, diretta da Gianni Amelio, che ripercorre le vicende di Aldo Braibanti, mirmecologo, poeta e drammaturgo accusato formalmente di plagio (inteso come manipolazione) ma velatamente di omosessualità.
Il cast d’eccezione comprende Luigi Lo Cascio ed Elio Germano, la fotografia ed il montaggio tracciano, volutamente pesanti, le linee dell’incedere del tempo, dove al primo dopoguerra fa da contraltare un disagio epocale che si appropria di stereotipi per poi scagliarli con prepotente violenza contro le minoranze, gli emarginati, gli ultimi da guarire sottoponendoli ad elettroshock.
La struttura del film lascia allo spettatore un senso di rimpianto, la certezza di impotenza nei confronti di eventi inammissibili, come se tutto fosse prevaricante o fuori luogo. È lo stereotipo che indica la strada, quel senso di smarrimento che costringe le formiche a muoversi in gruppo, altrimenti sarebbero smarrite nella scelta manicheista che distingue, a torto, il bene dal male, la prosa dalla poesia, la sessualità dal concetto più profondo di Amore.
“Il Signore delle Formiche” è l’anacronistica rappresentazione dell’odio utilizzato come strumento di confortevole propaganda, un’etica cucita ad hoc sulle spalle di una società bigotta, manifestazione chiara di mancata integrazione, un popolo, il nostro, che fa dell’innato giudizio il suo discrimine, che lascia morire di fame i suoi migranti, che umilia le sue donne, che non accoglie il diverso nel grembo della Vita.