Licia Romano assieme a Franco D’Agostino ha diretto la missione archeologica italo-irachena ad Abu Tbeirah che nel 2018 ha individuato e scavato un porto risalente al Terzo millennio a.C.

Chi è Licia Romano, una piccola biografia?

Sono nata a Catania e mi sono laureata e dottorata presso la Sapienza. Dopo 7 anni di scavi ad Ebla (Siria), sotto la direzione del Prof. Paolo Matthiae, nel 2012 ho iniziato con Franco D’Agostino lo scavo del sito di Abu Tbeirah, in Iraq Meridionale. All’inizio della mia carriera accademica mi sono occupata di iconografia e storia dell’arte del Vicino Oriente Antico ma adesso lo studio del sito di Abu Tbeirah è il fulcro delle mie ricerche.

Essere una donna e una archeologa, quanto toglie e dà la vita: immagino serva coraggio per vivere sempre o quasi da nomade? 

È una vita normale, neanche troppo nomade… Trascorro in media 2 mesi l’anno sullo scavo in Iraq, mentre il resto del tempo io e gli specialisti di Abu Tbeirah siamo impegnati nello studio di quanto rinvenuto. Non credo che ci sia una differenza in questo dovuta al mio essere donna e il mio lavoro non implica neanche un particolare coraggio: tutti gli archeologi, donne e uomini, sono caratterizzati da una forte passione per il proprio lavoro!

Nell’immaginario collettivo un archeologo è più Indiana Jones che scienziato: il tuo è un lavoro che si basa sulla ricerca di quanto rinvenuto per caso o suggerito dalla raccolta di informazioni pre-scavo? 

Nell’archeologia quasi nulla è dovuto al caso: ogni scoperta è frutto del lavoro di un team multidisciplinare, non del singolo archeologo. Io e Franco D’Agostino, co-direttore della Missione, abbiamo la fortuna di collaborare con un gruppo di esperti di eccellenza in archeologia sperimentale, geologia, paleo-botanica, palinologia, antropologia fisica, archeo-zoologia, restauro, fisica e chimica. Ogni scoperta si basa quindi su accurate ricerche e (quasi) mai sul caso!

Ho letto della missione archeologica di Abu Tbeirah, città sumerica della seconda metà III millennio a.C.a Sud-Est di Nasiriyah. Quanto  ha corrisposto in termini umanitari e storici oltre che personali a te e tutti gli altri archeologi?

Siamo stati tra i primi a riprendere le attività di scavo nel cuore della Culla della Civiltà. Tutti i membri del team sono impegnati nello studio, finalmente al passo con le nuove metodologie scientifiche e di ricerca, della vita di una città Sumerica: speriamo con le nostre competenze di poter apportare un contributo significativo alla conoscenza di uno dei primi popoli nella storia ad aver usato la scrittura.

Hai, avete, mai incontrato ostilità da parte dei residenti delle zone in cui scavate e fate ricerche? Quanto di mistico e poetico è rimasto in certi luoghi? 

Ostilità? Tutto l’opposto! Il nostro lavoro è reso possibile dalla collaborazione costante e fruttuosa con i nostri colleghi e amici iracheni. Anzi, quando siamo in Iraq abbiamo la sensazione di trovarci a casa, tra i membri di una grande famiglia! Il contesto poi, come dici tu, conferisce al tutto un fascino indescrivibile: scavando Abu Tbeirah abbiamo l’onore di “sbirciare” nelle vite di uomini vissuti oltre 4000 anni fa! E in questo l’aiuto dei colleghi iracheni è fondamentale: hanno una conoscenza diretta del territorio che ci consente di comprendere al meglio quanto riportiamo alla luce durante i nostri scavi.
In Italia, a Pompei, si continua a “riportare alla luce” reperti: quanti archeologi come te sono veramente interessati a quanto non è “estero” o “missione”?
Tantissimi, direi! L’Università della Sapienza, presso cui lavoro, è prima al mondo per gli Studi classici e la Storia antica secondo il Qs World University Rankings. Questo dimostra quanto lo studio del passato, non solo quello strettamente nazionale, sia fulcro dell’interesse di moltissimi studiosi italiani e con risultati più che degni di nota!

Sogni di scoprire o ritrovare qualcosa in particolare? 

Quando si scava, non si può fare una “lista della spesa”: noi archeologi, quando lavoriamo sul campo e iniziamo lo scavo asportando lo strato superiore di un’area, non abbiamo mai certezza di cosa troveremo. Diciamo che il bello del nostro mestiere risiede proprio nella sorpresa e soprattutto nel comprendere e ricostruire sulla base della stratigrafia le azioni dell’uomo antico. Quindi, posso dirti che non desidero scoprire qualcosa in particolare, attendo che il sito mi stupisca (cosa che tra l’altro avviene sempre)!

Ultima domanda: quanto aiuta in termini di “stare assieme” o “condividere” il lavoro come la vita di scienziata, l’essere meridionale e siciliana? 

Non so se è l’essere siciliana e meridionale, di certo essere italiana aiuta! L’Italia storicamente è un paese aperto all’altro e al diverso. La capacità di accogliere, che è tipica della maggior parte degli italiani, aiuta nelle relazioni. Se poi, come nel mio caso, si collabora con un altro paese estremamente aperto e ospitale come l’Iraq, lo stare assieme diventa un’esperienza bellissima ed entusiasmante, che ti segna nel profondo! Del resto, forse pochi lo sanno, ma un sondaggio realizzato qualche anno fa dalla Charities Aid Foundation ha dimostrato che gli Iracheni sono il popolo più generoso nei confronti degli stranieri.