Cara Scuola,

mi permetto di darti del “tu” e di usare un tono confidenziale, visto che ci conosciamo da un bel po’. Non ricordi da quando? Beh, sono passati quindici di anni da quando ho varcato la soglia di una classe per il mio primo incarico da supplente precario. Correva l’anno 2009, o forse 2008. Lasciamo stare, con le date non sono bravo. Pensa che a malapena so quello dell’anniversario di matrimonio – guai a farlo sapere a mia moglie, andrebbe su tutte le furie. Bando alle ciance, ti scrivo per augurarti e augurarci un buon anno scolastico, anche se sono tante le cose che non mi soddisfano. Lo so, in questo periodo è importante portare la pagnotta a casa perché sono tempi duri per tutti, perché veniamo da due anni di pandemia e sul fronte Est dell’Europa i cannoni hanno ripreso a rumoreggiare, come non accadeva da quasi un secolo, dai tempi di Stalingrado (sto leggendo l’opera di Grossman, sai? Toccante e realista). E allora ci si fa una ragione delle circostanze e delle congiunture economico politiche, in nome dei tempi duri. Già, tempi duri…

Per i precari sono tempi duri da un bel po’. E poi ci sono precari e precari. Ad esempio, cara Scuola, prendiamo il mio caso: insegno Religione nella scuola superiore e un concorso non si tiene dal 2004. Parlare di stabilizzazione, logico perché sono anni che lavoriamo nelle scuole e un po’ del mestiere l’abbiamo imparato, diverrebbe un peccato quasi mortale e aizzerebbe i detrattori della materia, pronti al varco con le loro baionette. Negli ultimi anni ci sono state delle norme che aurorizzavano il Governo a bandire il concorso entro l’anno 2020. Ma il Covid ha rovinato i piani ed io ho compiuto i 37 anni che mi hanno tagliato fuori dal bonus casa under 36. Niente mutuo, niente stabilità. Ora si parla ancora di concorso IRC, pronto per essere emanato in questi mesi. Ma Conte ha fatto le scarpe a Draghi, quindi Governo caduto, e quindi concorso in standby. Come la nostra categoria. Sai, quasi quasi è più bello standby di precario. È anglofono, più alla moda e vicino alla tecnologia, molto più europeo. Precario dà il senso di fugacità, di caducità, di cagionevolezza forse. Insegnante standby, mi garba proprio.

Cara Scuola, ad in certo punto ho pensato di insegnare Diritto. Avendo una laurea in Scienze Politiche, credevo di poter fare l’esame per la classe di concorso A-46, Scienze giuridiche ed economiche. Ma la mia Facoltà mi ha tarpato le ali. Troppi crediti mancanti, (30). A questo punto conviene prendere un’altra laurea. E allora sono tornato nel mio amato standby e ho smesso di affannarmi.

Sai cos’altro mi è capitato: ho fatto la ricostruzione di carriera! Wow, mi dirai. Mi hanno detto che come insegnante è mio dovere e diritto “informare” la Ragioneria che ho superato alcuni scatti. Sui forum leggo di migliaia di euro di arretrati. Non voglio sembrare uno legato ai soldi, ma con famiglia, spese e quant’altro due soldini in più non mi farebbero male. Ma quei soldi io non li ho mai visti, anzi il cedolino relativo alla ricostruzione di carriera spietatamente vocifera un  addebito nei confronti dell’Amministrazione. Mi chiedo a questo punto perché io debba ricordare a chi si occupa della retribuzione di aver superato alcuni scatti, e perché poi tale Amministrazione si rende conto, a posteriori, molto a posteriori, di avermi dato di più rispetto al dovuto? Ecco, meglio restare in standby, nel cono d’ombra dell’immobilismo e lasciar vivere.

Non voglio, cara mia amata Scuola, tediarti con le mie polemiche, vorrei chiudere questa mia lettera con quanto di buono c’è nell’occupazione di chi è chiamato a ex ducere, trarre fuori dall’altro il meglio. In questi anni la soddisfazione più grande è stata quella di aver visto i miei alunni felici per una lezione o per il semplice fatto di aver capito alcuni concetti e argomenti a me cari. Certo ci sono i giorni difficili, le classi più vivaci di altre, alcuni alunni che non si applicano come vorresti. Ma per migliorare la loro vita, e la tua vita, ci provi, ti affanni, ti spendi ed è allora che non sei più in standby. Per mia fortuna ho sempre lavorato in ambienti stimolanti, dove dirigenti e docenti hanno dato vita a sinergie sconosciute e a rapporti fondati sul rispetto e sulla riconoscenza. E a te, a questa Scuola, che mi rivolgo, a quella realtà di persone che forma la comunità intenta a dare il meglio per i propri alunni e che è viva e presente sul territorio.

Prima di salutarti, vorrei che tu mi ricordassi come un docente in standby, senza nome, che parla a nome di tanti miei colleghi.

Sono sicuro che non lo farai, ma se tanto ci tieni a conoscere il mio nome, prova con l’algoritmo. Non si sa mai.

Buon Anno Scolastico a Tutti!