Dimmi cosa posso dire ai ragazzi di oggi? Come posso raccontare la bellezza dell’onestà?

Caro Paolo,

avevo 12 anni, appena compiuti, quando una edizione straordinaria fermò un classico pomeriggio domenicale di piena estate. Quando si sonnecchia, si lotta con gocce di sudore che impregnano abiti e cuscini insomma. Ti scrivo prima dell’anniversario. Di solito si deve festeggiare, rammentare con forza l’impegno. Ma tutto è ormai prossimo alla formalità, al trito e ritrito.

Poche righe allora confuse, di altrettanto confusi cronisti annunciavano che qualcosa, laggiù a Palermo, era successa. Non era via D’Amelio agli inizi, ma via Autonomia Siciliana. Come se la tua isola potesse vedersela da sola, capace di nuovi Vespri per cacciare il potente di turno che insidia la ragazza che ha puntato. Oggi che si parla sì di autonomie,ma differenziate, quell’annuncio pare quasi un lugubre presagio.

Notai fra le immagini una colonna di fumo che, fra frammentarie notizie, sembrava essere già una chiara espressione delle paure più profonde che in quel momento si potessero immaginare. Con te dei ragazzi che non hanno potuto proteggerti mentre quell’esplosivo vi dilaniava e lacerava le vesti di una povera Italia, tutta rivolta in quel momento a diversi eventi di cronaca che la stavano traumatizzando. Una Italia che iniziava a mutare profondamente, che esprimeva i gemiti di una politica che stava perdendo i riferimenti che per quasi 50 anni si erano delineati.

E tu spezzato nelle tue ali spiccavi il volo verso la Bellezza, accompagnato da chi in quel momento offriva la propria esistenza per la nostra Nazione.

Oggi, a distanza di tanti anni, le corone di fiori, gli applausi commossi al sentire nome tuo e del tuo amico Giovanni, le conferenze e i tanti ‘a me che importa della storia?’  fanno da cornice a quel quadro terribile che si presentò alle telecamere.

Ma perché hai voluto donare la tua vita? A che serviva? Perché lo avete fatto? Mondo è e mondo resta, inevitabilmente definibile nel suo ripetersi sordo e cattivo, dove il Male, ormai visto come invenzione esagitata di lontano Medioevo, resta in azione subdolamente.

Potevi restare fermo a seguire i ladri di galline, i piccoli truffatori. Ma tu, voi, avete detto No. Un No che faceva tremare le mura del Palazzo di Giustizia, quel No che di fronte a Dio (perché tu avevi fede!) gridava tutta la sua forza. Odierno Giobbe cui venivano sottratti gli affetti, anche a favore del tuo lavoro così meticoloso che forse ti dava poco spazio per concederti agli affetti familiari, non ti fermavi. Meglio, eri un Giona in una balena (non bianca come il partito che aveva tradito molti ideali su cui era nato), in attesa di essere di nuovo libero, su un’isola più sicura che non quella dell’Asinara. Tu avevi negli occhi i tuoi figli, li scrutavi negli occhi, immaginavi e vivevi ogni loro sensazione. Li scoprivi grandi ma sempre bambini, bisognosi della tua protezione. Quella che tu davi con le tue inchieste, col tuo non fermarti mai nemmeno di fronte alla burocrazia, a riottosi colleghi che non capivano che dalle campagne erano venuti a Palermo a vivere ideali che sfruttavano la disperazione di povera gente, che inibivano il pensiero, tacitandolo in ossequiosi inchini al potente palazzinaro o faccendiere di turno.

Cosa hai pensato in quel millisecondo in cui hai capito che stavi finendo la tua esistenza?

Il romanticismo dei film forse ha macchiato quel momento riempiendolo di un senso che forse non c’era. Il senso della tua vita non era in molecole che si strizzavano, si stiracchiavano in frammenti ancora più piccoli. Non era nemmeno nelle ali di quella farfalla che avevi visto pochi minuti prima in riva al mare. Non era nemmeno in quel guardare il cielo, sere prima, tutto stellato proprio per te che eri sempre chino sulle carte e sui conti in banca di pregiudicati e potenti. Era in quel battito di cuore che avevi sentito abbracciando tua moglie l’ultima volta. Era nel sorriso di quella ragazza in fondo, presente a quella conferenza, in cui tu avevi mostrato la tua umanità, la tua speranza.

Tu eri segno di contraddizione col tuo agire. Nelle indagini amavi talmente Dio da non dirglielo. Come un mistico lo cercavi anche in chi interrogavi. Lo sapevi che tutti hanno dentro di sé la domanda sul perché ci viene fatto del male senza senso. E su quello hai stanato pentiti, falsi profeti di sorti migliori per la tua terra. Come tortore che cantano il loro repertorio ripetitivo eppure delicato in un bosco, tu non fermavi il richiamo del Bello. Il Bello doveva esserci per forza in un mondo in cui a prendere in braccio i tuoi figli avevi tremato, esultato e ti eri pure spaventato. Oggi per molti ragazzi, alcuni di loro saranno miei alunni, tu non sei nessuno. Sei uno sfigato, diciamocelo chiaramente. Hai donato la vita a un ideale che non regala successo, soldi, visibilità e voti facili. Non gridavi facilmente ma ora saresti indignato nel sapere che la malavita è cantata, espressa su note apparentemente artistiche e innocenti ma che in realtà nascondono la morte del pensiero. Grideresti che abbiamo perso il senso della coscienza. Che questa coscienza esiste dentro l’umano, non è mai sopita da mutevoli folate di venti assassini, che dietro il sorriso piacevole di serie televisive seminano orrori nelle vie delle città. Mentre volavi via come uno svarowski le tue preziose membra divenivano Eucarestia vivente, espressione del più alto sacrificio per quello Stato in cui tu hai trovato la più alta forma di persona: il fruttivendolo da cui andavi talvolta, il pescatore amico che ti impreziosiva la cucina con odori penetranti che tanto ti piacevano, il bambino che vedevi in auto, quando attraversava la strada vicino scuola  Tutto era Stato, tutti erano la base di quel diritto per cui tu vivevi e che amavi come una seconda compagna di vita.

Dimmi…In cosa credevi? Credevi davvero che l’uomo potesse liberarsi davvero dal Male? Povero sognatore eri pensato. Ma tu eri ricco. Ricco di quella speranza che abbiamo messo in armadio, tacitando la nostra coscienza.

La campana del Paradiso quando ha suonato ti avrà fatto un invito: camminare in un vialetto, illuminato dal sole che è Lui. Incontro ti sarà arrivato Giovanni che col suo solito humour ti avrà apostrofato dicendoti che le inchieste erano giunte alla Verità, anche qui una Persona, via e porta insieme. Immagino la tua tristezza nel pensare ai ragazzi, a mamma e ai tuo figli. Ma stavi lì, dove poi avrai incontrato Pino Puglisi, quel Rosario Livatino che avevi apprezzato al lavoro e tutti coloro che hanno salva l’anima perché amano il giusto.

Dimmi cosa posso dire ai ragazzi di oggi? Come posso raccontare la bellezza dell’onestà?

Immagino cosa mi diresti…Educare. Educare.  Educare.

Ecco, mi auguro che in un giorno qualunque, svincolato dal ricordo, ci sia esempio il tuo agire. Tu e Giovanni avevate empatia anche per i peggiori malavitosi. Li capivate in uno sguardo.

Che il tuo agire in vita, a distanza di anni, insegni a noi quella sete di Giustizia e Verità che ormai fanno da ornamento nei salotto televisivi, ma che sembrano non dire nulla all’umano.

A distanza di tanto tempo grazie per il tuo Sì, quel sì per la vita di tanti di noi che in te e nei ragazzi della tua scorta ha intravisto l’amore per l’altro.


FonteLuigi Oldani, CC BY-SA 3.0 , via Wikimedia Commons
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Antonio Cecere (1980), docente di Filosofia e Storia presso il Liceo Tito Livio di Martina Franca. Laurea in Filosofia presso l’Università degli studi di Bari nel 2004, con relatore il prof. Francesco Fistetti e una tesi in Storia della filosofia contemporanea su Karol Wojtyla. Appassionato di Bioetica, ha conseguito il Master in Bioetica e Consulenza filosofica a Bari e il Master in Bioetica per le sperimentazioni cliniche e i Comitati etici presso il Politecnico delle Marche oltre a vari perfezionamenti di ambito pedagogico e didattico. Impegnato nella Cisl Scuola, è in Azione Cattolica per cui attualmente coordina il Mlac di Taranto come incaricato. Socio Uciim, insegna filosofia anche agli adulti presso l’Università popolare Agorà di Martina Franca. Fra le sue passioni lo studio della storia, il calcio e la musica rock. In passato, oltre che clown terapeuta presso l'asssociazione Mister Sorriso di Taranto, è stato anche conduttore di programmi radiofonici. Presso il Liceo Tito Livio, da qualche anno, coordina il Progetto Percorsi di Bioetica per avvicinare, attraverso modalità didattiche innovative e con la collaborazione di esperti esterni, gli allievi alla cittadinanza bioetica. Ideatore di vari caffè filosofici nella provincia di Taranto e in Valle d'Itria.