
Papa Francesco è voluto sempre apparire come un uomo normale. Questo è stato un punto fermo del suo pontificato già da quel il 13 marzo 2013, giorno della sua elezione a Pontefice, quando si affacciò alla loggia delle benedizioni della Basilica di San Pietro con quel “buona sera”.
Una persona normale, anche in precarie condizioni di salute
La sua sofferenza è quella che sta vivendo tutta l’umanità. Ora, come allora, papa Francesco si è sempre presentato come una persona normale, anche in precarie condizioni di salute. Ma non è la stessa condizione della gente ordinaria: Francesco è stato sempre un papa, pur nella malattia, e quindi con un’assistenza medica “speciale”, non certamente paragonabile a quella di cui può servirsi la gente comune!
Pur nella fragilità, come già fece Giovanni Paolo II, nell’ultimo tratto del suo cammino terreno, ha esercitato il suo ministero con la solita disarmante umiltà e con una determinazione tutta gesuitica, mettendo a nudo la sua precarietà. Si ricorderà l’apertura dell’attuale giubileo in corso, quando Papa Francesco ha preferito farla restando sulla carrozzina, alla quale è stato recentemente costretto. Una scelta precisa. Dettata ancora una volta dalla volontà di mostrare, fino in fondo, la sua fragilità fisica, e, insieme, la sua vicinanza al mondo della disabilità, della malattia, della vecchiaia.
Che cosa significa “fragile”?
Il suo significato lo attingiamo dall’espressione latina “frangere”: spezzarsi, rompersi. Si dice che qualcosa è fragile quando questo qualcosa ha, strutturalmente, la caratteristica di rompersi. Ma, nel nostro mondo, le cose fragili, in genere, sono anche le cose belle. Per usare un’espressione del professore Andreoli: “la fragilità rifà l’uomo”. Significa che gli consente di prendere coscienza dei propri limiti, dei propri difetti, delle proprie miserie e, dunque, di dirigere i propri comportamenti sotto la guida della più importante delle virtù umane, che è “l’umiltà”. Così la fragilità viene considerata una delle qualità che ci rendono più umani, ricordandoci, che nessuno, in questo mondo, è esente dalla vulnerabilità e il segreto per affrontarla sta nel prenderci cura gli uni degli altri. Il segreto della cura sta proprio nella condivisione della propria fragilità e della propria sofferenza con il prossimo: nessuno si cura da solo, ma guarisce nell’altro e con l’altro. Il non lasciare solo chi soffre, per qualsiasi motivo, è una grande opera di misericordia e tutti ne abbiamo estremo bisogno, in quanto sperimentarlo ci rende non solo più umili, ma anche molto più umani. E non toglie nulla alla nostra dignità.
La malattia di papa Francesco
Nel mistero della malattia di papa Francesco, c’è qualcosa che non manca di stupirci: è la forza della religiosità. Tale forza, nel momento dello smarrimento, della solitudine, forse della paura, è emersa e si è intuita anche in coloro che si sono presi cura del Papa. Infatti quando si perde quella sicurezza su cui ci si è appoggiati fino ad allora, si diventa sempre più consapevoli di come la scienza abbia ancora i suoi limiti e come molte sfide siano ben lungi dall’essere vinte. L’essere umano è, fondamentalmente, un essere fragile, anche se viviamo in una società che ci vuole tutti perfetti; ma questa visione è stata già messa in crisi dalla pandemia.
La malattia è considerata una periferia esistenziale e papa Francesco non ci è apparso mai così grande come nella fragilità dei giorni di degenza ospedaliera al Gemelli. In queste situazioni, nel voler bene ai fedeli che pregavano per lui e nel lasciarsi voler bene, non si è lasciato rubare dalla malattia la forza di vivere, che era pure faticosa: si tratta di una grandezza umana che nasce dalla sofferenza.
Oggi, si vive un’epoca in cui una certa cura del corpo è divenuta mito di massa e, dunque, affare economico! Per tale convinzione ciò che è imperfetto deve essere oscurato, perché attenta alla felicità e alla serenità dei “privilegiati” e mette in crisi il modello dominante: meglio tenere queste persone separate, in qualche “recinto”, magari dorato, o nelle “riserve” del pietismo e dell’assistenzialismo, perché non intralcino il ritmo del falso benessere. In alcuni casi, addirittura, si sostiene che è meglio sbarazzarsene quanto prima, perché diventano un peso economico insostenibile in un tempo di crisi. Ma, in realtà, quale illusione vive l’uomo di oggi quando chiude gli occhi davanti alla malattia e alla disabilità! Il mondo non diventa migliore perché composto soltanto da persone apparentemente “perfette”, per non dire “truccate”, ma quando, tra gli esseri umani, crescono la solidarietà l’accettazione reciproca e il rispetto.
L’eredità di Papa Francesco
Viene un tempo, nella vita di ogni uomo, in cui bisogna imparare a convivere con le proprie fragilità, accettando queimomenti più acuti, quando la nostra autonomia può far ben poco, se non è supportata dalla tenerezza di chi si prende cura di noi… e, magari, scoprire come tali momenti non siano qualcosa di cui vergognarsi, bensì una risorsa per vivere meglio con se stessi e con gli altri.
Qui, il povero non è colui al quale io do un soccorso, ma quel povero sono io che, a mia volta, chiedo che ci siano spazi relazionali e di cura: una società potrà dirsi umana, solo se sarà capace di prendersi cura dei più fragili! Qui è da ricercarsi l’eredità lasciataci da papa Francesco: un impegno a cui Bergoglio ha tenuto fede sino all’ultimo giorno.