«Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, riguardo l’universo ho ancora dei dubbi».
(Albert Einstein)

Stamattina avevo un sonno per cui fra me e il materasso non vedevo altro che la legge di gravitazione universale: ci attraevamo in modo direttamente proporzionale al prodotto delle nostre masse e inversamente proporzionale al quadrato della nostra distanza.

Sì, conosco Newton, hanno provato negli anni a spiegarmelo ed evidentemente l’ho pure capito e imparato, ma poiché possiedo una stimabile reputazione da ignoranza cronica in queste cose, non facciamo girare troppo la voce, perché alla faccia ci tengo. Sono candidata al premio Oscar per tutti i film esistenti, o nemmeno ancora pensati, relativi all’incomprensione delle scienze dure: non vorrei perdere la candidatura.

Detto ciò, in preda a quel genere di unione, ho fatto forza anche contro la fisica e no, non ho lasciato mi sconfiggesse: “Newton, spolverami la spalla destra, mi sono alzata ed il materasso niente ha potuto”, ho pensato.

Frattanto il luminare mi fissava dall’alto del suo sapere e cercava di prenotare un controllo psichiatrico a mio nome… e diamogli torto!

Mi sono trascinata sotto la doccia dopo il primo caffè, ho assolto i doveri di ogni mattina fra cui troneggia il dar retta allo sguardo finto-muto del mio cane che parla con la coda, ho preso ancora due caffè a distanza non esattamente ravvicinata e per ragioni diverse e, quasi senza accorgermene, mi sono ritrovata seduta su una comoda sedia blu elettrico, in una pulitissima, modernissima ed accoglientissima sala d’attesa.

Di norma nelle sale d’attesa ci si annoia, ma io avevo sonno, ero ancora in fase REM, ciò che mi faceva apparire sveglia non era che una recita ben sistemata e quindi ho iniziato a fare ciò che più mi rilassa: guardare le persone.

Potrei descriverle una per una, in ogni dettaglio, ma non è giornata per le lungaggini: mi sono bloccata su un paio di piedi e sono stata costretta ad alzare lo sguardo per fare i conti con la figura intera del malcapitato.

Era un uomo indicativamente della mia età, chiacchierava con il suo amico e se la ridevano con intesa in totale relax, un uomo casual che aveva caratteristiche estetiche ben definite, pantaloni verde militare, una polo Ralph Lauren, un cellulare in tasca che vibrava ma veniva ignorato ed uno in mano, che faceva lo stesso e scatenava i suoi cambi di espressione in zona sorriso; e poi aveva le scarpe… oh che strano! Penserete sorridendo, ma no, era uno specifico paio di scarpe, quelle per cui gli avevo poi fatto la radiografia, anche loro verde militare con i dettagli del marchio arancioni. Le conoscevo molto bene quelle scarpe, tanto da fare un’associazione mentale immediata e dar loro un titolo comprensibile solo a me: le chiacchiere se le porta il vento.

Ora mi devo scusare, perché non scioglierò il nodo del titolo e la sua ragion d’essere, ma vi porterò dove, in seguito a questo volo pindarico, sono andata a finire io, ovvero alla ragione primordiale per la quale sto scrivendo: la necessità inevitabile di ogni organismo vivente all’interno del nostro ecosistema, il che ha certamente in qualche modo a che vedere con le scarpe dello sconosciuto e certamente è figlio del mio stato comatoso.

Nonostante tutto è una cosa vera e penso possa portare, da un fatto banalissimo, ad una notevole riflessione.

Iniziamo: le zanzare. Alzi la mano chi di voi non si è mai chiesto, nella vita, cosa diavolo ci facciano all’interno del meccanismo perfetto di madre natura. Bene, io ho la mano abbassata e non solo me lo sono chiesta un milione di volte, il punto è che non mi sono mai scomodata a cercare una risposta. Mai, fino a ieri sera.

Ora vi dico cosa ho scoperto in primissima battuta:  i maschi di zanzara sono degli impollinatori, come le api, e nella loro continua ricerca di cibo contribuiscono all’impollinazione delle piante permettendo così lo sviluppo dei frutti.

Dunque, cosa potreste pensare in maniera pressoché immediata, specie se spinti dall’intolleranza verso l’insetto causa di mille dei vostri fastidi estivi? Non vi biasimerei se la risposta fosse qualcosa tipo: ecco, sono le femmine di zanzara il problema!

E infatti, cosa ho scoperto subito dopo? Le zanzare femmina sono dedite alla riproduzione della specie e sono responsabili dei fastidi che avvertiamo dato che, per portare a termine il processo riproduttivo, hanno bisogno del sangue come fonte di nutrimento per l’alto contenuto proteico, che permette la maturazione e lo sviluppo delle uova.

Bingo! Sembra che già a questo punto il conto torni perfettamente. Il problema sono loro!

Ma a parere vostro, considerata la smisurata fiducia che ho nell’Universo, la grandissima fede che nutro in seno, nonché l’istinto invincibile a non fermarmi mai fino a che non trovo un senso compiuto nelle cose, potevo credere a una soluzione così banale e a buon mercato?

Ipse dixit, la scoperta definitiva, da terza battuta, ultima evidentemente non per importanza, che cito e riporto testualmente: sono le femmine di zanzara a pungerci perché hanno bisogno delle proteine del nostro sangue per produrre le uova. Se non fosse per questa necessità biologica, probabilmente eviterebbero volentieri di ronzarci intorno, costantemente esposte al rischio di venire uccise, e come i maschi della zanzara se ne starebbero tranquille a gironzolare tra le piante in cerca di nettare.

Chiosa numero uno: nell’ecosistema tutto è un cerchio perfetto.

Chiosa numero due: tutto in natura corrisponde perfettamente agli assetti basilari dell’uomo.

Chiosa numero tre: le chiacchiere se le porta il vento.

Chiosa numero quattro: intelligenti pauca.

Tutto questo, come se mi fossi davvero addormentata, finendo da qui in quel posto che non c’è e svegliandomi ora, non stando più in quel posto, ma di nuovo qui.


FonteFoto di Welcome to all and thank you for your visit ! ツ da Pixabay
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Sono una frase, un verso, più raramente una cifra, che letta al contrario mantiene inalterato il suo significato. Un palindromo. Un’acca, quella che fondamentalmente è muta, si fa i fatti suoi, ma ha questa strana caratteristica di cambiare il suono alle parole; il fatto che ci sia o meno, a volte fa la differenza e quindi bisogna imparare ad usarla. Mi presento: Myriam Acca Massarelli, laureata in scienze religiose, insegnante di religione cattolica, pugliese trapiantata da pochissimo nel più profondo nord, quello da cui anche Aosta è distante, ma verso sud. In cammino, alla ricerca, non sempre serenamente, più spesso ardentemente. Assetata, ogni tanto in sosta, osservatrice deformata, incapace di dare nulla per scontato, intollerante alle regole, da sempre esausta delle formule. Non possiedo verità, non dico bugie ed ho un’idea di fondo: nonostante tutto, sempre, può valerne la pena. Ed in quel percorso, in cui il viaggio vale un milione di volte più della meta ed in cui il traguardo non è mai un luogo, talvolta, ho imparato, conviene fidarsi ed affidarsi.