In fondo, Don Benzi si è sempre distinto per l’azione, il richiamo agli ultimi, a quelli chiamati ad un riscatto sociale. Non è un caso, infatti, che nel 1949 fu scelto per celebrare un matrimonio. Il Duomo di Firenze, quel giorno, emanava un carisma particolare, lei, Alda Pianigiani, splendida sposa dipinta di un rassicurante bianco, lui, Artemio Franchi, elegante nel grigio smoking da cerimonia, in evidente contrasto con il suo essere sportivo e pugnante. Avrebbe adibito quella chiesa ad un campetto di periferia, avrebbe esultato come chi ce l’ha fatta, avrebbe urlato la sua gioia come un atleta che, da sfavorito, arriva sul podio, l’altare sarebbe diventata una porta e i chierichetti guardalinee, non avrebbe mai potuto immaginare che, un giorno, due stadi avrebbero preso il suo nome
Non ha mai segnato un gol, tuttalpiù deve averne annullati tanti negli anni vissuti da arbitro, ma per il calcio italiano Artemio Franchi è stato più importante di Giuseppe Meazza e Paolo Rossi messi insieme. Diciamo che si faceva ascoltare e, cosa non facile per il calcio italiano, si faceva rispettare. Quando era Presidente della Federcalcio, la Nazionale ha vinto un Europeo nel ’68 ed è finita seconda ai Mondiali di Messico ’70. Con Franchi ai vertici dell’Uefa abbiamo festeggiato con Pertini a Madrid l’11 luglio 1982, ma c’è il fortissimo sospetto che se quel maledetto incidente stradale non l’avesse portato via due anni e otto mesi più tardi, l’elenco sarebbe continuato.
Il merito resta tutto di chi andava in campo, ma ci si sentiva, tutti, con le spalle coperte. Tanto per cancellare qualsiasi luogo comune, Artemio Franchi non ha mai sopportato la concorrenza di antichi parrucconi. Imbattibile a giocare a calcio dalle scrivanie, a trentasei anni guidava la Lega di quarta serie, poco dopo aggrega anche la C, a quarantacinque accetta di ricostruire la FIGC, dopo il crack-Corea.
I capelli bianchi, precoci, gli hanno dato uno straordinario ed involontario aiuto. Vi abbiamo già detto come è andata a finire in Italia, ma è in Europa che arriva la consacrazione e l’elezione a Presidente dell’Uefa, mentre nel Mondo quella a vice dell’eterno Havelange come capo della Fifa. Il rispetto universale è conquistato.
Nel nostro Paese mette tutti d’accordo, quando non può attraverso la mediazione illuminata, ricorre alla battuta fulminante, bastava non distoglierlo dall’altra sua grande passione: il palio!
Contrada La Torre, il punto di contatto con Siena ed il papà Aurinto, un Masterchef già prima che esistesse la paytv. Da lui imparò a dosare gli ingredienti, il segreto dei sapori e del buon gusto, indispensabile per buttar giù qualche boccone amaro, andare sotto quella curva, pardon curia, e urlare: “Ho vinto!’’
Chissà cosa avrebbe detto, se avesse potuto commentare questo parole del suo amico don Benzi:
«Ma dobbiamo veder i fatti, la gente si sente tradita tutte le volte che ripetiamo le parole di speranza, ma non c’è l’azione. Cos’hanno lasciato i cattolici, permettetemelo? Hanno lasciato la devozione. Devozione che è unione con Dio-Amore, che è validissima, ma la devozione senza la rivoluzione non basta, non basta.»
(Don Oreste Benzi durante le “Settimane sociali”- 19 ottobre 2007 – Pisa – Riportato da “Avvenire” il 4 novembre 2007)