Sad woman crying with closed eyes in dark environment. Upset female with tears falling on face on black background. Depressed girl expressing her feelings.

La sofferenza che va oltre la vittima

La violenza contro le donne non è solo un trauma per la vittima diretta, ma una spirale di dolore che coinvolge anche familiari e amici. Ogni femminicidio e ogni atto di abuso lascia cicatrici profonde nei cuori di chi resta. Le parole di Tina Turner, che ha vissuto personalmente la violenza domestica, sono emblematiche di questo dolore: “La violenza ti distrugge lentamente, ma è solo quando si trova il coraggio di fuggire che inizia la vera guarigione.” La violenza psicologica, spesso accompagnata da un linguaggio degradante e umiliante, non solo danneggia la vittima, ma ha effetti devastanti anche sui bambini che assistono a tali abusi, portando a disturbi psicologici e relazionali. Questi bambini, esposti alla violenza vicaria, possono perpetuare il ciclo di abusi nelle loro future relazioni. Ogni femminicidio, inoltre, si ripercuote pesantemente sulla famiglia della vittima. La perdita di una figlia, madre o sorella è insostenibile, e spesso i familiari devono fare i conti con il vuoto e il senso di impotenza. Nonostante la crescente attenzione sul tema, c’è ancora una grave disconnessione tra la consapevolezza pubblica e la realtà del fenomeno. Molti, infatti, sottovalutano o giustificano la violenza domestica, ignorando le implicazioni devastanti che ha sulle vittime e sulla società.

Una delle cause più profonde di questa violenza non è solo la cultura patriarcale che permea le nostre strutture sociali, ma anche il linguaggio che utilizziamo quotidianamente. Il linguaggio, infatti, non è solo uno strumento di comunicazione, ma una forma di costruzione della realtà: le parole non descrivono semplicemente il mondo, ma lo modellano. Ecco perché il linguaggio che usiamo per parlare della violenza di genere è cruciale nel perpetuare o nel combattere le disuguaglianze.

In Italia, i contatti al numero verde 1522 per le donne vittime di violenza sono raddoppiati dal 2022, segno di una maggiore consapevolezza, ma la vera sfida è trasformare questa consapevolezza in azioni concrete per prevenire la violenza e proteggere le vittime. Un ostacolo importante è la mancanza di una banca dati centralizzata sui femminicidi, che limita il monitoraggio e l’adozione di politiche mirate. L’Osservatorio “Non una di meno” raccoglie dati sui femminicidi, ma l’assenza di un sistema pubblico ufficiale ne frena l’efficacia.

La violenza si sviluppa principalmente in ambito familiare o affettivo, spesso con il partner o ex partner come carnefice, ed è spesso mascherata da dinamiche di controllo e manipolazione psicologica. Il linguaggio che riflette la cultura del dominio maschile, con termini come “proprietà” e “possesso”, perpetua una visione patriarcale dove la donna è vista come un oggetto di proprietà. Espressioni come “lui l’ha picchiata perché la ama” giustificano la violenza, e l’uso di termini come “capricciosa” riduce la donna a un essere irrazionale, alimentando il ciclo di violenza psicologica e fisica. È urgente che il governo crei una banca dati pubblica sui femminicidi, che permetta di monitorare, raccogliere e analizzare i dati in tempo reale. Questo strumento consentirebbe una visione chiara del fenomeno e la formulazione di politiche di prevenzione efficaci. Solo con un’analisi accurata e trasparente sarà possibile ridurre i femminicidi e garantire la protezione delle donne.

Un altro problema riguarda la rappresentazione parziale o incompleta dei femminicidi nei media e nella cultura popolare. Quando i giornali parlano di femminicidi, spesso riportano solo i fatti più eclatanti, concentrandosi sull’aspetto emotivo del crimine, e dimenticano di analizzare la violenza strutturale che porta a questi atti. La vittima, talvolta, viene descritta come una donna che “ha fatto arrabbiare” l’uomo, insinuando che ci sia una sorta di equità tra le due parti. Questo approccio offusca la comprensione del fenomeno, confonde la percezione pubblica e perpetua l’idea che la violenza sia una reazione “comprensibile” a una provocazione.

Inoltre, l’incompletezza delle informazioni spesso non sottolinea l’importanza delle cause socio-culturali della violenza, come la disuguaglianza di genere, il controllo sociale, la mancanza di educazione alle emozioni e al rispetto, e la normalizzazione della violenza nelle relazioni. Non comprendere queste dinamiche rende difficile affrontare il problema in modo efficace, creando una percezione distorta che la violenza sia un “evento isolato” e non una conseguenza di una cultura radicata nel controllo e nell’oppressione.

La violenza di genere non nasce solo nelle relazioni intime, ma anche in contesti sociali e culturali che rafforzano il dominio maschile. Nei media, la donna è spesso rappresentata come oggetto sessuale o subordinato, normalizzando la violenza. Questo atteggiamento si riflette anche nelle istituzioni, dove la violenza psicologica, verbale ed economica è spesso minimizzata, lasciando le donne vulnerabili. Le leggi che dovrebbero proteggerle non sempre sono applicate con serietà.

In conclusione, il linguaggio gioca un ruolo fondamentale nel costruire e perpetuare la realtà che viviamo. La violenza di genere non è solo fisica, ma anche verbale e culturale, alimentata da discorsi che giustificano il controllo maschile. Termini come “delitto passionale”, “uomo geloso” e “ritornare sui suoi passi” minimizzano la gravità della violenza e giustificano il comportamento abusivo, facendo sembrare che la violenza sia accettabile o addirittura comprensibile. Cambiare la cultura del linguaggio è essenziale per combattere la violenza e costruire una società più equa, rompendo il ciclo di abuso.


Articolo precedenteL’Armonia delle parole
Articolo successivoOpen Day Carovigno
Yuleisy Cruz Lezcano nata a Cuba, vive a Marzabotto, Bologna. Lavora nella sanità pubblica, laureata in scienze biologiche e con una seconda laurea magistrale in scienze infermieristiche e ostetricia, presso l’Università di Bologna. Ha pubblicato diciotto libri a seguito di riconoscimenti e premi in concorsi. Due dei libri pubblicati sono in spagnolo/italiano e il penultimo in spagnolo/ portoghese è stato pubblicato in Portogallo. Si occupa di traduzioni in spagnolo, facendo conoscere poeti italiani in diverse riviste della Spagna e del Sudamerica e, in modo reciproco, facendo conoscere poeti sudamericani e spagnoli in Italia. Collabora con blogs letterari italiani, di America Latina e di Spagna. La sua poesia italiana è stata tradotta in francese, spagnolo, portoghese, inglese, albanese.

LASCIA UNA RISPOSTA

Please enter your comment!
Please enter your name here