
“La sicurezza e il pensiero cardiopatico” (Bertoni Editore) è una silloge di Vincenzo Calò, il protrarsi verso il domani senza l’apatia del presente, la regola dell’attesa con versi molto più che contemporanei
Ciao, Vincenzo. Cosa c’è di contemporaneo nella tua silloge “La sicurezza e il pensiero cardiopatico”?
Oramai vibrano situazioni insolite dal punto di vista poetico, che appunto tento di armonizzarle, affinché nessuno resti più indietro come se bollati da un romanticismo imperante contestualmente, ma che ha perso nel corso della Storia umana il suo spirituale mordente rilasciando semmai un senso di adulazione, qualcosa di ridicolizzabile… e sapete perché a parer mio? Perché l’attualità è possibile contemplarla delucidando su sentimenti chiari dacché privati, sì, ma incontenibili data una libertà avallata da un’idea di progresso discutibilissima se puntiamo a costituire l’infinità dell’Essere, che può significare la dispersione dei sani valori per tristissimo atto di superbia. Vige una condizione emotiva tale da sostenere che si sta né bene né male, come a dover tirare avanti, con la sensazione di venire identificati come dei puzzle irrisolti, eppure succede di osare come nel mio caso e non solo osservandone i singoli pezzi; a fronte di un ostacolo qual è invece la Gente, da argomentare fino a uscirne pazzi, devastati ulteriormente da piccole, grandi forme d’egocentrismo che non sanno fermarsi, prendersi il proprio “tempo”, ma che fingono di raccogliersi, di rappresentare l’esclusività dell’interesse collettivo, in momenti di difficoltà che saremmo costretti a porre sullo stesso piano se volessimo tutti quanti ritenerci un Popolo.
Sbaglieremmo a ritenere i tuoi versi impregnati di surrealismo?
No, anzi, m’inorgoglireste. Ciò è dovuto dall’ironia divampante appunto tra le mie parole. Queste fanno parte il più delle volte di un gioco per castigare la Noia a seguito del desiderio di confrontarmi con gli altri, insoddisfatto a forza di constatare in un minimo gesto ricavabile l’incapacità di appurare il Domani, ovvero la tragedia del richiedere “tutto e subito”. La raffigurazione del pessimismo appartiene all’originalità di chi non si vergogna di guardarsi dentro, e caratterizzare così l’indispensabile per sorprendere anime solitarie ma non troppo (altrimenti avremmo a che fare con l’altezzosità degl’idealisti, a danno della sensibilità dei realisti)…!
Credi che la comprensione di un testo poetico sia oggettiva o dipenda dallo stato d’animo del lettore?
La Poesia deve essere rispettata, cosa che non succede proprio in ambito culturale, essendo davvero pochi quelli che amano leggere, dubitare di sé senza poi coprire cotanto disagio esistenziale aggredendo autori alienanti all’apparenza, che cercano la felicità o il contrario scattando le foto alle singole emozioni (a dei movimenti dignitosi ma che accelerano o decelerano sempre più all’improvviso), pubblicando infine nient’altro che qualcosa di soggettivo, qual è la Verità. È esattamente come quando ti ricordi di avere un cuore, d’includere un’attività misteriosa raccontandoti. Un altro conto in effetti è capire la Poesia, una missione impossibile perché ne va di una scelta irrinunciabile: se preferire vivere (sfoderare l’intuito, partecipando, azzardando a sviluppare della curiosità per costituire delle novità, degli attimi immortali agli angoli spigolosissimi dell’altrui riserbo, di quell’ “apri e chiudi” istintivo dovendo suscitare prima o poi degli omaggi al naturale, fare centro) o sopravvivere (in questo caso pensi solo a informarti, pretendendo giustamente la chiarezza per non soccombere materialmente, quotidianamente, ma oscurando a lungo andare la bellezza della creatività, che la può partorire solo la Solitudine).
A chi dedichi il tuo libro?
Certamente non a quelli che si sentono arrivati. È un oggetto imperfetto, avendo io spremuto della benemerita fannulloneria (desiderando apprendere, migliorarmi) per radiografare e accoppiare due condizioni in perenne corso d’opera: quella attribuibile alla società civile, liquidabile considerando l’orizzonte un limite rasserenante ma rimpicciolente, dalla parte dei viziati, e cioè dei poveri che si consumano comportandosi come i ricchi; e quella che si rende percorribile riflettendo a costo di esagerare e stare male, come un essere umano.