Una Cenerentola che fatica a diventare Principessa
Inizio partendo da una serie di domande: Qual è il valore della ricerca scientifica in Italia? Perché i soldi per la ricerca non vengono distribuiti in modo competitivo? Perché non abbiamo un’agenzia della ricerca? Perché alcuni studiosi la osteggiano? Perché ci sono poli di ricerca che prima di diventare operativi hanno già in cassa un fiume di denaro garantito per legge, mentre il resto del paese arranca?
La risposta alla prima domanda, senza scomodare troppo opinioni personali, è facile perché scritta nell’articolo 9 della Costituzione Italiana che recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”, a cui si aggancia l’articolo 33 della Carta Costituente: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.
Basterebbe quindi che i governanti e decisori garantissero la piena attuazione dei fondamenti della Carta Costituente per avere un Paese virtuoso anche dal punto di vista della cura di un settore strategico per una nazione, come quello della cultura e della ricerca scientifica.
Tuttavia, la radiografia che emerge su come il nostro paese tratti la Scienza e gli scienziati è molto preoccupante. Un po’ di mesi fa, prima dell’esito delle elezioni del 4 marzo, la prestigiosa rivista internazionale “Nature” rilevava come la ricerca scientifica fosse completamente esclusa dal dibattito elettorale italiano e che i ricercatori temevano ulteriori tagli di budget, qualunque potesse essere l’esito delle consultazioni.
Il dato interessante, emerso anche dall’inchiesta di Nature è che nonostante la penuria di finanziamenti, i ricercatori italiani sono riusciti a raggiungere, negli ultimi dieci anni, traguardi ragguardevoli non solo in quantità, ma anche e soprattutto in qualità dei prodotti della ricerca. Il contributo italiano alle pubblicazioni scientifiche è passato infatti dal 3,2% ad oltre il 4% della quota mondiale.
Ad oggi però bisogna purtroppo constatate che l’interesse da parte del governo verso la ricerca scientifica sembra ancora lontano e completamente escluso dal dibattito politico.
Sono ormai decenni che la politica si disinteressa di ricerca scientifica, umiliando spesso il rigoroso lavoro svolto da molti scienziati e ricercatori, creando uno spaventoso esodo a senso unico di tante eccellenze italiane verso istituzioni di ricerca straniere: una “fuga di cervelli”.
Avevamo anche sperato in un cambio di rotta quando, abituati ormai a proclami spesso disattesi e soprattutto a competere per poche briciole per poter fare ricerca, avevamo appreso con positiva sorpresa l’investimento di quattrocento milioni di euro destinati per Progetti di ricerca di interesse nazionale (Prin) da parte dell’allora ministro Fedeli. Un investimento derivato anche dalla capacità del ministro di individuare risorse inutilizzate, circa 150 milioni, nelle pieghe del bilancio e grazie anche alla parziale restituzione di 250 milioni di euro di “tesoretto” accumulato, in oltre 10 anni, dall’Istituto italiano di tecnologia (iit).
Quanto può però sopravvivere così la ricerca in Italia? Quali sono le strategie per rimanere un paese competitivo? È sufficiente convogliare tutte le risorse su poche realtà, condannando di fatto centri di ricerca, Università e quindi brillanti ricercatori a chiudere bottega?
Perché dunque in Italia la Cenerentola Ricerca Scientifica fatica a diventare una Principessa al pari di quanto è successo in Francia, Germania, Spagna, Svezia?
I motivi possono essere tanti.
C’è stato qualche ministro che sosteneva che con la “cultura non si mangia” e c’è chi pensa ancora oggi che tagliare risorse alla ricerca scientifica, al mondo della scuola, alla cultura e alla sanità pubblica sia efficace per poter fare cassa. Mantenere i conti in ordine e contenere il debito pubblico è senza dubbio fondamentale per un Paese, ma tutto ciò non deve essere di costrizione al suo vero benessere che è la conoscenza, la capacità cioè di produrre ricchezza, intesa non solo come capacità di produrre profitto economico, ma soprattutto profitto culturale, scientifico e sociale.
Il dato drammatico è che l’Italia investe meno di altri Paesi in Ricerca e Sviluppo: 1,33% del PIL contro una media europea pari a 2,03% (Fonte EUROSTAT) e ha un numero di ricercatori, rispetto ad altri paesi dell’eurozona, inferiore in rapporto alla popolazione: la percentuale dei ricercatori ogni mille occupati in Italia è pari al 4,73% contro una media europea del 7,40% (Fonte OECD).
Un’altra ragione è la mancanza di una Agenzia per la Ricerca, un ente che gestisca fondi pubblici in modo autonomo, trasparente e soprattutto su base rigidamente competitiva. Oggi invece la maggior parte dei finanziamenti governativi derivano principalmente dal “Fondo di finanziamento ordinario”, utilizzato anche per le spese di funzionamento delle varie Università ed elargito solo in minima parte in base a classifiche di merito. Si è quindi verificato spesso un cortocircuito istituzionale nella distribuzione delle risorse per la ricerca, concentrandole in alcuni “feudi dorati”, come recentemente discusso sulle pagine di “La Repubblica” da Elena Cattaneo, Senatrice a vita e docente all’università di Milano. Un grido di allarme il suo per cercare di risvegliare l’interesse della politica non solo verso il supporto alla ricerca scientifica, ma anche per evitare che le poche risorse vengano concentrate nelle mani di pochi e soprattutto senza una vera competizione delle idee.
A breve diventerà operativo il progetto dello Human Technopole (HT), la nuova infrastruttura di ricerca ospitata nell’area ex-Expo di Milano e gestito da una fondazione appositamente creata dal ministero dell’Economia e delle Finanze, dal ministero della Salute e dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca: la Fondazione Human Technopole. Pare che HT per i prossimi dieci anni beneficerà di 1,5 miliardi di euro di fondi pubblici. Tanta roba per un solo ente di ricerca, ad oggi occupato solo da poche persone, mentre il resto del paese, con migliaia di ricercatori, agonizza per le poche risorse a disposizione. Tanta roba soprattutto se si tiene in considerazione che nulla è dato sapere di quanto sarà l’investimento pubblico per la ricerca, vitale e già vincente, delle Università e centri di ricerca italiani, dove tanti giovani e bravi ricercatori, richiestissimi all’estero, potrebbero contribuire al progresso scientifico del nostro Paese.
Sarebbe auspicabile che le diverse realtà sicuramente eccellenti possano diventare dei poli tecnologici per ospitare infrastrutture da mettere al servizio delle eccellenze che, su base rigorosamente meritocratica e partecipando a bandi competitivi, si siano guadagnate la possibilità di realizzare le loro ricerche utilizzando queste piattaforme. Questo sarebbe anche di aiuto per creare, a livello locale, una rete virtuosa tra Università, centri di ricerca e centri con piattaforme tecnologiche.
L’auspicio è anche quello di scongiurare che i governanti e i decisori concentrino tutte le risorse per lo sviluppo di questi centri di eccellenza verso le regioni del Nord, dimenticandosi ancora una volta di un Sud Italia che senza adeguate opportunità di crescita e di sviluppo tecnologico è destinato a soccombere alla dura legge del mercato e a spopolarsi, perché giovani meritevoli migrano inesorabilmente dove ci sono opportunità economiche, finanziarie e di crescita professionale.
Il governo deve tenere in considerazione che la Scienza è la forma più alta di democrazia in quanto libera da ogni giogo di autorità “sintesi di esperienza e ragione, acquisizione di conoscenze verificabili e da discutere pubblicamente“. È altresì di vitale importanza per la democrazia di un paese che i decisori attuino quanto “codificato” nell’art. 3 della Carta Costituente: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Questo deve valere anche per il settore della ricerca scientifica, garantendo a TUTTI i ricercatori la possibilità ad accedere ai finanziamenti pubblici su base competitiva e meritocratica.
Cruda realtà.
Vedere il livello “basso” raggiunto dall’istruzione, medecina, ricerca provoca una rabbia profonda.
Ma c’è un criterio di distribuzione dei fondi ad hoc ai Centri di ricerca? E se sì, sono visibili/consultabili?
nonostante tutto e tutti, gli Italiani veri testardi proseguiranno imperterriti la strada intrapresa.
onore a chi è IN trincea…non a chi sta dietro.
Fotografia accurata e allo stesso tempo drammatica della situazione della ricerca in Italia!!
Ci dovremmo essere più investimenti in ricerca e sviluppo sopratutto al sud al posto dell’assistenzialismo solo così il sud potrà rialzarsi.