pianto

“E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude […]”

(Gabriele D’Annunzio)

Celebri questi versi tratti da “La pioggia nel pineto” di Gabriele D’Annunzio.

La nostra riflessione parte oltre che da una citazione anche da un’immagine che vuole richiamare l’argomento da affrontare. È l’immagine della pioggia richiama il pianto, il pianto del cielo.

Ed ecco che ci poniamo in continuità con il tema trattato la scorsa settimana, usando un’altra metafora evidentemente. Il tema della guerra inevitabilmente chiama in causa, crea lacrime e pianto.

Quando piove sembra che anche il cielo voglia condividere il dolore umano. Ma la pioggia ha anche un aspetto positivo: feconda. Le gocce pure che cadono dal cielo irrigano la terra, diventano alimento di essa e così facendo fanno crescere i semi presenti e nascosti sotto terra.

Anche le lacrime dell’uomo possono essere feconde: possono essere lacrime di gioia per dire all’altro che mi stai a cuore, o possono essere lacrime di dolore e di disperazione che possono però fare bene a coloro hanno terminato le loro lacrime per via dell’orgoglio.

Come affermava papa Francesco qualche tempo fa: “Il pianto umanizza l’uomo e al contrario il non piangere lo rende disumano; il pianto è comunque sempre il linguaggio, non verbale, quindi più sincero e diretto, di un cuore traboccante di dolore per preoccupazione e/o impotenza per i mali che affliggono l’umanità, ma comunque ricolmo di amore, di fiducia e  di tenerezza”.

Il pianto ha quindi non solo una funzione catartica, ma anche liberatrice.

A volte, però, bisogna riconoscere che è facile asciugare le lacrime di un amico; è più difficile stare in platea e applaudirlo senza gelosia nel momento del trionfo. Il pianto, allora, intride tutta la vita, non appanna ma esalta la conoscenza perché è “uno sguardo dell’intelligenza”. È anche “esercizio di puro amore” che oscilla tra gravità e leggerezza, e presiede alle gioie e alle sofferenze degli uomini.

Le lacrime son gravi eppur lievi, intrecciano tragedia e commedia; anzi, presiedono al dolore e alla gioia perché, se “il gemito è l’urlo del silenzio”, è altrettanto vero che est quaedam flere voluptas, che c’è piacere nel piangere, come osservava Ovidio nei suoi Tristia. Anzi, come diceva sant’Agostino, “nessuna cosa è talmente unita alla felicità quanto il pianto”.

Piangere è un altro modo di vedere, d’intendere, di parlare, ma anche semplicemente d’amare. Le lacrime, insomma, sono la “calligrafia dell’anima e dell’emozione”.

Tornando per un attimo bambini, non per questo meno capaci di riflettere sulla tragedia della guerra, congediamoci con le parole di Gianni Rodari:

“Dopo la pioggia viene il sereno

brilla in cielo l’arcobaleno.

È come un ponte imbandierato

e il sole ci passa festeggiato.

è bello guardare a naso in su

le sue bandiere rosse e blu.

Però lo si vede, questo è male

soltanto dopo il temporale.

Non sarebbe più conveniente

il temporale non farlo per niente?

Un arcobaleno senza tempesta,

questa sì che sarebbe una festa.

Sarebbe una festa per tutta la terra

fare la pace prima della guerra“.