Prima il coming out di mons. Charamsa, poi la lettera dei 13 cardinali a papa Francesco, ora la notizia, subito seccamente smentita, del tumore benigno al cervello del pontefice: c’è aria di complotto in Vaticano?

Sembrerebbe proprio di sì. A quanto pare, il “papa argentino”, come viene definito con intento denigratorio in alcuni ambienti romani, il “papa che rompe gli schemi”, come a noi piace definirlo, sta minando in maniera decisa le certezze di taluni gerarchi ecclesiastici, divisi in “progressisti” e “tradizionalisti”, e così non è strano assistere a forme di pressione che giungono da una parte e dall’altra.

Ora, chissà quale sarà la verità: non bisogna essere Dan Brown per immaginare che tra le mura vaticane si aggirino misteri e segreti che a noi comuni mortali resteranno non svelati, ma la sensazione è che, in questo momento, più che papa Francesco – o perlomeno insieme a papa Francesco – a disturbare i sonni dell’ala tradizionalista della Chiesa Cattolica sia proprio il Sinodo che si avvia a conclusione.

Non è, dunque, un caso che L’Osservatore Romano, di solito così misurato nelle sue espressioni, abbia subito bollato la notizia della malattia del papa con parole che non ammettono repliche: «Sono infondate le notizie sulla salute del Papa diffuse stanotte, in modo irresponsabile, da giornali italiani […]. Anche il direttore della Sala stampa della Santa Sede — il gesuita padre Federico Lombardi, intervenuto nella notte con una secca smentita — ha ribadito nella mattinata la totale falsità di queste notizie: “Lo faccio dopo le verifiche con le fonti opportune, compreso il Santo Padre”. E il momento scelto rivela l’intento manipolatorio del polverone sollevato».

Bene, il “momento” è appunto quello del Sinodo sulla famiglia e sulla sua vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo contemporaneo, un Sinodo apertosi, lo ricordiamo, lo scorso 4 ottobre (il coming out di Charamsa è datato al 3 ottobre…) e che si chiude il prossimo 25 ottobre. Un Sinodo chiamato a misurarsi con questioni spinose come la pastorale per le coppie divorziate-risposate e il tema delle multiformi unioni omosessuali.

Tornano in mente le parole del discorso di apertura di papa Francesco: «Il Sinodo non è un convegno o un parlatorio, non è un Parlamento o un Senato dove ci si mette d’accordo. Il Sinodo è invece un’espressione ecclesiale, è la Chiesa che cammina insieme per leggere la realtà con gli occhi della fede e con il cuore di Dio”. Per questo: «Il Sinodo – continuava il pontefice – potrà essere uno spazio dell’azione dello Spirito Santo solo se noi partecipanti ci rivestiamo di coraggio apostolico, umiltà evangelica e orazione fiduciosa. Il coraggio apostolico di portare vita e di non fare della nostra vita cristiana un museo di ricordi”.

Il messaggio è chiaro, i destinatari pure.

Ce n’è abbastanza per capire perché chi è rimasto attaccato ad un’immagine di Chiesa come “museo di ricordi” sia quanto mai preoccupato da quelle che saranno le conclusioni che papa Francesco, e non i suoi avversari, potrà trarre a chiusura del Sinodo. Sappiamo, infatti, che a definire in modo organico le proposte del Sinodo giungerà una Esortazione postsinodale, un atto magisteriale, che solo il papa può firmare.

Ce n’è abbastanza anche per sperare che dall’insegnamento e dalle decisioni del pontefice emerga una Chiesa più vicina all’uomo, più aperta al mondo, meno arroccata in posizioni stantie.

Il tutto, in attesa di un Sinodo in cui a parlare non sia solo la voce del clero: in effetti, sono in tanti a chiedersi perché a parlare e a decidere sulla famiglia debbano essere coloro che una famiglia non se la sono fatta. I laici, pur “invitati” al Sinodo, non hanno diritto di voto. Certo, si dirà: sono queste le regole del Sinodo voluto da Paolo VI, nel 1966, e ridettate da Benedetto XVI, nel 2006.

Ma, appunto, le regole si possono cambiare e sembra proprio giunto il momento di farlo: prima che anche per papa Francesco sia troppo tardi.