Dafne, narra il mito, era figlia e sacerdotessa di Gea, la Madre Terra. Suo padre era la divinità fluviale Peneo (secondo Partenio di Nicea era invece il fiume Lacone). Dafne era una bellissima ninfa che amava la caccia e viveva nei boschi: la sua storia è quella di una vita distrutta da due divinità capricciose: Apollo ed Eros.

Infatti, Apollo era orgoglioso di aver ucciso col suo arco, quando aveva appena 4 giorni di vita, Pitone, un enorme serpente, e per questo aveva deriso il piccolo Eros. Quest’ultimo non gradì lo sfottò e pensò bene di colpire Apollo e Dafne con due frecce di potere opposto: una, dalla acuminata punta d’oro, capace di far innamorare alla follia; la seconda, con una smussata punta di piombo, in grado di far nascere una irresistibile repulsione all’amore. La prima fu destinata ad Apollo, la seconda a Dafne.

Da quel momento, Apollo perse la testa per Dafne, che invece aveva chiesto al padre di restare vergine e di poter emulare Diana, la dea della caccia. Apollo, incapace di contenersi, dopo aver supplicato invano la fanciulla, la inseguì per i boschi, deciso anche a usarle violenza. Stravolta dal terrore, Dafne invocò la madre Gea e il padre Peneo perché arrivassero in suo soccorso. Gea, commossa dal pianto della figlia, rallentò la sua corsa, fino a trasformare le sue gambe in radici e tronco, le sue braccia in rami, la sua chioma nella fronda dell’alloro.

La metamorfosi di Dafne avvenne sotto gli occhi sbigottiti di Apollo, al quale, al colmo della disperazione e lacerato dalla passione, non restò che abbracciare il tronco e dichiarare che, da quel giorno, la fronda peneia gli sarebbe stata sacra, sarebbe rimasta sempreverde e avrebbe incoronato i suoi capelli e i suoi versi. Fu così che la corona d’alloro incoronò le tempie dei poeti e i vincitori, i soli degni di ricevere, in Campidoglio, la corona d’alloro: ne è testimone, ad esempio, la vicenda di Petrarca che tanto aspirò all’incoronazione a “poeta laureato”, cosa che ottenne l’8 aprile 1341. Infatti, “alloro” in latino si dice “laurus” ed è questa la ragione per cui coloro che giungono alla “laurea” sono incoronati d’alloro…

Il mito di Apollo e Dafne è narrato da Ovidio nelle Metamorfosi (I, 544-562). Ecco come il poeta dipinge, con le sue parole, la trasformazione di Dafne e il giuramento di Apollo:

«O Terra [Gea, ndr]– invoca – spalancati oppure distruggi con una metamorfosi la mia bella figura che è causa del mio danno! Padre, dammi aiuto – aggiunge – se voi fiumi avete potere divino! Cancella trasformandolo il bel sembiante per cui piacqui tanto!» aveva appena finito di pregare, che un pensante torpore invade il suo corpo: il petto delicato viene avvolto da una sottile corteccia, i capelli si mutano in foglie, le braccia in rami, i piedi poco prima così veloci si fissano in radici inerti, il volto in una cima d’albero: le rimane soltanto la bellezza. Pur così Febo [Apollo, ndr] continua ad amarla e poggiando la destra sul tronco sente che ancora il petto batte sotto la fresca corteccia e, intrecciando le sue braccia ai rami come se fossero le membra di lei, bacia il legno: ma il legno si sottrae a quei baci. A cui il dio: “Poiché non puoi essere mia coniuge – disse – sarai di certo il mio albero. La mia chioma, la mia cetra, la mia faretra, o alloro, si orneranno di te. Tu incoronerai i generali lieti per la vittoria, quando un coro festante intonerà il canto del trionfo, e il Campidoglio vedrà lunghi cortei. Tu medesima, come una custode fedelissima, sarai appesa alle porte della reggia di Augusto e guarderai la quercia che sta nel mezzo, e come il mio capo giovanile è pieno di capelli intonsi, anche tu avrai in eterno l’onore delle foglie sempreverdi”. Apollo così finì di dire: l’alloro con i suoi rami formatisi da poco dà il suo assenso e sembrò che muovesse la cima come se fosse il capo» (trad. N. Scivoletto).