
Il Sapere, che bella cosa! Ma che cos’è il Sapere? Non si sa, nessuno lo sa con certezza. Tutti, invece, sanno da sempre che il Sapere, unico, è assurdamente diviso nella sua unicità: la Filosofia e il Caos soggettivistico da una parte, le Scienze epistemiche e l’oggettività di una certezza, dall’altra. Di là un’attività per perdigiorno, di qua una conoscenza vera e produttiva.
Sì, s’è detto produttiva. Nel corso degli anni e degli infiniti dibattiti sulla Conoscenza, infatti, s’è rifilato un certo qual razzismo epistemico per il quale ci sarebbero saperi e saperi, quelli utili e quelli inutili insomma. Invero, viaggia per tappe progressive l’idea “scientifica” di una sorta di “Teoria delle Scienze superiori” che si manifesta in tutta la sua opacità nei confronti della speculazione filosofica.
Come a dire: “la Filosofia è per pochi, non di certo per i migliori però!” La Giurisprudenza, per esempio, sarebbe per questa “Teoria delle razze epistemiche” un sapere inferiore. Tanto è vero che il Diritto nel corso della sua progressiva evoluzione, sin dai più lontani albori, ha fatto comunella con la Filosofia camminando con lei quasi mano nella mano.
“Una scena patetica!” direbbero gli scientisti. Troppo, forse, per chi di Pathos proprio non ne vuole sapere. Nondimeno credono che, i patetismi e i caos soggettivistici in cui naufragano di volta in volta la Filosofia e le sue sorelle, la Giustizia appunto, sono inutili. Sì, inutili: non producono nulla. Le idee che fabbricano, insistono, non sono monetizzabili. Di qui, la convinzione esasperata per la quale chi non produce incarna un sapere inefficace e di minor grado.
I Filosofi, dalla loro, “la prendono con filosofia”. Per il vero, si dicono fieri di sollevare alta al cielo la “Bandiera dell’Inutilità”. S’interrogano e ci interrogano: ma siamo proprio sicuri che le cose più belle della vita siano e debbano essere necessariamente utili? Ciò che è utile, infatti, è funzionale a qualcosa e da questo la sua vita stessa dipende! Le cose più belle, invece, sono quelle inutili e già Aristotele conferiva ad esse una prerogativa divina: non c’è nulla di più bello al mondo che far l’amore, eppure sembra sia “inutile” se non finalizzato al mero atto riproduttivo.
Resta, tuttavia, che il “non sapere filosofico”, oltre che essere improduttivo, non gode della stessa imparziale oggettività di quello epistemico.
Ma è vero dire che le cose oggettive sono anche quelle concrete? Gli scientisti ne son sicuri: “Noi pratici, noi amanti della concretezza, non siam mica perdigiorno come Socrate!” Poco, invece, basterebbe al buon Socrate per smentirli.
Chi di noi ha mai passato una serata divertente con una derivata? Chi s’è fatto una mangiata infinita fino a star male con una radice quadrata? Nessuno. Sono concetti. L’oggettività, per carità, è molto utile ma il prezzo da pagare per queste nozioni utili è che dobbiamo metterle in un limbo concettuale astratto, l’unico a permettere il calcolo.
Una cosa concreta è tale, in realtà, solo se sperimentata soggettivamente e sofferta sulla propria pelle. Le cose si ribaltano: ciò che è massimamente soggettivo è concreto! È concreto, allora, ciò che ci interroga e ci stupisce. E cosa se non la Filosofia nasce dallo stupore? È una forza che muove tutto, il già visto non muove niente. Sant’Agostino, dice: “Mangia il libro! Fa’ tue le cose!” e non “Studia le etichette dei frutti mangiati da altri, come i botanici”.
La Scienza, per concludere, afferma sia una perdita di tempo riflettere sul proprio fondamento (si pensi ai postulati). Tuttavia, a prescindere da ogni ulteriore considerazione, è davvero desiderabile una tecnica e un sapere che non si espongono mai ad una critica interna? Un sapere che oltre, lo si ammette, alle innumerevoli utilità prodotte ha anche partorito orrori umani come la bomba atomica o le manipolazioni genetiche senza chiedersi perché lo si facesse? “Basta che si può fare”, giunge perentoria la risposta: il come e il perché lasciamoli ai filosofi. Che si divertano pure a perderci su del tempo!