Le contraddizioni, le tragedie e le paure che serpeggiano in molti angoli della vita, l’angoscia per il futuro che sta divorando la speranza, rischiando di minacciare la tenuta collettiva della comunità, la mitizzazione del successo personale che si va sempre più imponendo sui bisogni vitali della comunità, possono costituire il clima per rileggere la “lavanda dei piedi” e le proteste di Pietro.
Giovedì santo significa per tutti “Ultima cena”. Eppure, Giovanni, il Quarto Evangelista ci ha tramandato nella sua lettura dell’Ultima Cena non il racconto dell’istituzione dell’eucaristia, ma – unico tra gli evangelisti – quello della lavanda dei piedi e della conseguente protesta di Pietro che non accettava un maestro chino a lavargli i piedi.
Si tratta di un episodio che, calato nella nostra attualità, può aiutarci nella fatica di ricercare le ragioni della speranza annidate nell’animo di tanti: un’occasione per indagare su quali strade alternative è possibile camminare per evitare l’apocalisse.
In proposito il 4° evangelista, al capitolo 13, ci offre delle indicazioni per impostare una relazionalità sociale alternativa. Giovanni, nell’ultima azione di Gesù verso i suoi, lo descrive con un susseguirsi di movimenti che rendono la scena coinvolgente, densa di significato e quindi propositiva: si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli.
La sottolineatura sull’uso del grembiule, con cui Gesù si è cinto, sottolinea il valore del servizio quale attributo permanente e integrante della sua persona e della nuova comunità; infatti quando avrà terminato la lavanda non si toglie l’asciugatoio che funge da grembiule. Questa proposta di Gesù non riguarda una comunità con caratteristiche piramidali, ma con dimensioni orizzontali, in cui il rapporto tra le persone è caratterizzato dal servizio reciproco: i membri della nuova comunità sono dei “signori” (persone libere) solo perché servi.
Il grembiule, quale simbolo del servizio, è la divisa che la comunità alternativa deve sempre indossare e non può mai deporre.
Pietro reagisce al gesto di Gesù con stupore e protesta. Chiamandolo “Signore” (13,6), gli riconosce un livello di superiorità che stride con il lavare i piedi: un’azione che compete ad un individuo inferiore. Agli occhi di Pietro questo umiliante gesto della lavanda dei piedi è sembrato un’inversione di valori: disapprova l’uguaglianza che Gesù vuole creare tra gli uomini; rifiuta categoricamente che Gesù si metta ai suoi piedi. Per Pietro ognuno deve ricoprire il proprio ruolo; non è pensabile una comunità o una società basata sull’uguaglianza. Non è accettabile che Gesù lasci la propria posizione di superiorità per rendersi uguale ai suoi discepoli. Tale modello di Maestro sconcerta Pietro portandolo a protestare: Pietro è lontano dal messaggio evangelico. Ma alla fine, come forma di obbedienza ad un superiore, aderisce alle minacce del Maestro, ma senza accettarne il significato profondo.
Purtroppo un certo linguaggio devozionale e intimistico, sviluppatosi lungo i secoli, ha contribuito ad offuscare e, a volte, addirittura a compromettere il senso autentico dell’Ultima Cena.
Lavando i piedi dei discepoli, Gesù ha distrutto per sempre l’immagine che gli uomini si erano fatta di Dio: un giudice severo, impegnato a mantenere in ordine la contabilità dei peccati della gente. Il Dio di Gesù Cristo si pone in ginocchio davanti alla sua creatura e le si prostra per servirla.
La sopravvivenza della specie umana non è legata a rimedi di tipo ecologico o tecnico, ma unicamente a questa ricerca di uguaglianza e di comunione, sconfiggendo il caos con lo shalom, divenuto esigenza universale.
La vita è edificata su tre ferite, sostiene il poeta spagnolo Miguel Hernàndez (1910-1942): la nascita, la morte e l’amore; qui la comunità diventa un “laboratorio” di ferite profonde, non sempre cicatrizzate.