La teologia esplica l’esperienza di fede, ma non può fare a meno della filosofia

Non la fede come tale, come sentimento religioso, ma solo la teologia, ovvero “la scienza positiva della fede”, ha bisogno della filosofia ai fini della sua legittimazione, anche se ciò di cui la teologia si occupa è svelato dalla, per la e nella fede[1]. La teologia si configura heideggerianamente come «esplicazione[Explikation] fenomenologica dell’esperienza cristiana della vita»[2], quale risulta dalle Lettere di Paolo di Tarso, in particolare da quella ai Galati e in modo ancor più accentuato dalle due Lettere ai Tessalonicesi, ma nel tentativo di risalire in tal modo, attraverso un’ermeneutica fenomenologica di questi testi neotestamentari,al significato originale della religione cristiana, Heidegger, che a partire dal 1919 abbandona la sua giovanile fede nel cattolicesimo, finisce suo malgrado per divaricare troppo il presunto significato filosofico-teologico della fede cattolica rispetto alla primitiva matrice evangelica di quest’ultima, donde una parziale e unilaterale immagine del cristianesimo, forse semplicemente utile alla sua metafisica, tragica e nichilistica visione ontologico-esistenziale. L’uso strumentale del cristianesimo in Heidegger è evidente e, contrariamente a ciò che pensano alcuni estimatori di cose oscure e contorte, nella analisi che ne fa non c’è assolutamente nulla di particolarmente “complesso” se non l’ossessiva maniacalità teoreticistica tipica di coloro che presumono troppo dalle proprie facoltà logico-intellettive.

Ma la lente critico-ermeneutica heideggeriana scaturisce da un approccio fenomenologico alquanto preconcetto, predeterminato, deformante, fuorviante e alla fine anche aberrante per le implicazioni etico-politiche che sarebbe venuto generando, nonché tutto orientato in chiave antigiudaica (dove però l’antigiudaismo heideggeriano è altro rispetto all’antisemitismo razziale o razzista) e anticristiana, principalmente alla luce di un pensiero paolino interpretato come emblematico di un cristianesimo positivo, dogmatico, codificato, teologico, istituzionale, chiuso ai pressanti bisogni della carne e ai continui mutamenti della vita attraverso cui viene disvelandosi in forme molteplici e sempre diverse l’Essere. L’esito che ne consegue è quello di un cristianesimo già molto lontano dal sentimento originario della fede evangelica e della stessa fede paolina, in virtù del quale la spiritualità viene ben configurandosi come persistente intreccio esistenziale di corporeità-psichicità, intelligibilità e volitività, teoreticità e prassi etica, razionalità e agire morale, e quindi come complessa ed articolata attività esistenziale volta a reagire ai non sensi del mondo, a comprendere la profonda e multiforme struttura veritativa degli accadimenti che vi si manifestano, a dare un senso e una finalità alla realtà come totalità sempre sfuggente ed estranea. Al di qua di quella lente critico-ermeneutica distorcente e in vero ben poco fedele alla natura critico-descrittiva e alla sobrietà logico-metodologica della fenomenologia husserliana, per quanto anch’essa non esente da cadute o rischi dogmatici, resta molto più nitidamente e coerentemente descritta la proposta fenomenologica di Edmund Husserl di andare “alle cose stesse” tanto in relazione alla oggettualità materiale in generalequanto a quella ugualmente complessa, articolata e differenziata, ma immateriale, del sapere e della spiritualità, ivi compresa la religiosità.

Anche Husserl si confronta con il cristianesimo, non con quello paolino ma direttamente con quello di Cristo. Particolare attenzione viene da lui riservata al momento sacramentale dell’eucaristia, in cui, per usare termini specificamente husserliani, la noetica, l’intenzionalità della mente e dello spirito, viene radicandosi indissolubilmente nel momento hyletico della materialità oggettiva. Nell’eucaristia, infatti, ha osservato Angela Ales Bello, «Cristo è presente come cibo e bevanda nella totalità della sua divinità e umanità, come manifestazione che coinvolge l’interezza delle dimensioni umane: corpo, psiche e spirito». Così, per Husserl l’esperienza religiosa cristiana, che non usurpa la razionalità ponendosi al contrario come forma fenomenologica di essa, «coinvolge esistenzialmente tutto l’essere umano, la sua affettività e la sua volontà mostrando che la finalità è quella della “salvezza”, cioè realizzazione e mantenimento dell’essere umano nella totalità dei suoi aspetti in una vita che assorbe e supera quella sperimentata nella temporalità. Si pensi all’accettazione della risurrezione dei corpi e della vita eterna, con la quale si chiude la professione di fede dei cristiani»[3].

In questi termini, si viene delineando in Husserl, sia pure solo in forma embrionale, una fenomenologia della vita religiosa e cristiana. Possono scaturirne alcune idee-guida, alcuni suggerimenti metodologici per un proficuo approfondimento critico delle categorie teologiche e dei modelli culturali della religione cristiana e cattolica, ma anche alcune sollecitazioni spirituali particolarmente feconde per una presa di coscienza tendenzialmente rigorosa dell’esperienza di fede, della natura eidetica del proprio “vissuto” religioso, e per un’interrogazione incessante intorno ai significati già acquisiti, e tuttavia pur sempre suscettibili di ulteriori e sorprendenti sviluppi, della narrazione biblico-evangelica, e ad ancora nascoste o inedite implicazioni spirituali della Parola di Dio. Il cattolicesimo, per questa via, potrebbe irrobustire e rendere più efficienti e persuasive le sue complessive strutture critico-culturali, nonché le modalità stesse del suo annuncio evangelico al mondo, riversando altresì nuova e rigogliosa linfa spirituale in generazioni di uomini e donne ormai demotivate e sempre più malate di indifferentismo etico e religioso, talvolta persino all’interno della comunità ecclesiale.

Nel frattempo, però, i semplici o poveri di spirito potranno percorrere i sentieri della fede che portano a Dio senza sottostare agli esigenti e complicati cerimoniali della evoluta mentalità contemporanea. Peraltro, come è stato ben scritto, «se la Parola di Dio non si rivolge all’uomo con il linguaggio del senso comune, essa non è più un messaggio universale di salvezza, ma è un messaggio per alcuni privilegiati (così sostiene l’eresia dello gnosticismo), oppure non è affatto un messaggio, perché nessuno lo comprende o ciascuno lo interpreta a modo suo (il pensatore luterano K. Jaspers ha scritto: “Nella Scrittura si può trovare tutto e il contrario di tutto”)»[4]. Quel che afferma Jaspers non è proprio vero, ma, dal punto di vista del credente in Cristo, è già grave che lo si possa pensare.

[1] M. Heidegger, Fenomenologia e teologia, in Segnavia, 1961, trad. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1987, p. 18.

[2] Ivi.

[3] Per una fenomenologia della religione, Università Lateranense 2019, p. 47.

[4] don Antonio Livi, Il senso comune, in “Il Timone”, giugno 2004, pp. 28-29


FontePhotocredits: Roberto Strafella
Articolo precedenteLa rivoluzione è appena cominciata
Articolo successivoIl dominio privato tra buon europeismo, decentramenti e sussidiarietà orizzontali
Francesco di Maria è nato a Cosenza nel 1949 e, dopo essersi laureato a Firenze con Aldo Zanardo, ha insegnato storia e filosofia nella secondaria superiore fino al 2006. È tra i fondatori nel 1978 della rivista culturale "Periferia" da cui esce l'anno successivo per fondare da solo la rivista di scienze umane "Itinerari 79". Dal 1990 al 2001 dirige il Centro Studi "Antonio Banfi" di Cosenza nel cui ambito promuove e realizza molteplici conferenze e incontri di studio. È autore nel frattempo di numerose pubblicazioni: su Antonio Banfi (1989) e ancora su Banfi, Gramsci e Della Volpe (2002), sul concetto di democrazia in alcune espressioni della filosofia italiana del novecento (1992), su Francesco Bacone (1995), su temi di filosofia morale e filosofia della scienza (Saggi copernicani, 1996), su significativi "Maestri di morale" del '900 (1999). Ma dopo il 2003, a seguito di una particolare esperienza spirituale, dirotta decisamente i suoi interessi speculativi e spirituali verso un ambito di fede militante e di marcata testimonianza evangelica e cattolica. Di quest'ultimo periodo sono tre importanti opere mariane e mariologiche, la più recente delle quali è Maria da nascita a morte (2020), ma anche i due "inattuali" volumi su Quale contemporaneità di Cristo? (2019) e quello su Vangelo, democrazia e moderna Babilonia (2019). Da segnalare infine una monografia sul Pensiero di Giulio Preti (2019) e il recentissimo Pensare come pregare. Questioni di etica, scienza, filosofia (aprile 2020).