Partendo dalla ricerca dei fondamenti normativi della teoria dei beni nell’ordinamento italiano e nei sistemi giuridici sovranazionali, si confronterà con l’interpretazione pretoria, cercando di porre l’attenzione sul cosiddetto diritto vivente nel complesso settore dei beni.

Sarà oggetto di osservazione e di critica il dualismo pubblico-privato, saranno presi in considerazione i fenomeni della privatizzazione formale e sostanziale dei beni pubblici, quelli delle concessioni demaniali, della sdemanializzazione, per poter formulare ipotesi tecniche sul transito inverso di un bene dalla dimensione privata a quella pubblica socializzata e collettiva. Sarà pertanto oggetto d’indagine la ammissibilità di una eventuale, futura definizione di proprietà collettiva, del modo in cui un siffatto modello di appartenenza non monadica, non individualistica potrebbe convivere con lo schema strutturale e funzionale del rapporto di appartenenza tra un soggetto (o un insieme determinato di soggetti) e una   res,  sia questa immateriale, oppure materiale e, ancora, immobiliare, oppure mobiliare per alcune peculiari tipologie di cose mobili necessarie alla sussistenza nonché allo sviluppo della persona in vista delle prossime evoluzioni sociali.

L’indagine sulle potenzialità funzionali dei beni nell’economia valoriale neocostituzionale, in un’ottica prognostica, sarà condotta partendo da ciò che si intende per beni comuni, sin dall’antichità, nella dimensione giuridica romanistica e nella filosofia scolastica, per poi passare a verificare il grado di attingibilità delle definizioni giuridiche e filosofiche proprie di ère appartenenti a civiltà agrarie ancestrali, a civiltà feudali precedenti alla Rivoluzione francese della fine del XVIII secolo, nonché nelle ideologie cooperativistiche del Novecento. Con il metodo falsificativo-popperiano, di prova di resistenza delle ipotesi scientifiche formulate, si procederà a vagliare il grado di tenuta tecnica delle definizioni che nel nuovo millennio sono state formulate in dottrina e nella Commissione diretta da Rodotà, e si andrà a verificare se un sistema che dovesse giungere al riconoscimento, alla definizione e alla garanzia non solo delle proprietà esclusive bensì pure di quelle collettive, su cui la Commissione anzidetta tace, rappresenterebbe una distorsione sistemico-dominicale nella tipologia di società liberale e capitalistica odierna, oppure una opportunità pluralistica per rispondere alle complessità del reale attraverso la ideazione legislativa di soluzioni calzanti a peculiari esigenze della collettività dei consociati, in uno Stato democratico di diritto ad effettiva vocazione sociale ove l’assistenzialismo non dovrebbe essere ridotto a mera misura emergenziale bensì elevato a categoria ordinaria di sostegno delle necessità inalienabili della persona, come singola e nelle formazioni sociali ove questa svolge e realizza la propria esistenza civica. Una volta analizzati i rischi di coerenza ordinamentale, si proseguirà con una variegata riformulazione ipotetica degli schemi giuridici di appartenenza e di gestione in ragione delle riqualificazioni giuridiche dei beni.

Si continuerà poi ad analizzare la rinunziabilità meramente abdicativa della proprietà, nello specifico versante dei beni immobili di tipo aziendale; saranno sondati dunque gli effetti che potrebbero dispiegarsi da una dismissione aziendale ad opera di un soggetto peculiarmente qualificato, come un imprenditore, al di là delle situazioni di fallibilità o di crisi d’impresa già disciplinate dal legislatore. Si procederà a vagliare il rapporto fra il principio di ordine pubblico economico con quelli di solidarietà, responsabilità, nonché con i limiti posti dal divieto di svolgimento della libera attività economica privata in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, ex art. 41, comma 2, della Carta costituzionale. Si rifletterà sulla compatibilità della dismissione meramente abdicativa di un privato che voglia liberarsi di un bene produttivo di ricchezza coinvolgente la sfera personologica e/o patrimoniale altrui, con gli artt. 16 Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., che fa riferimento al concetto di libertà d’impresa, 26 e ss. T.F.U.E., 101, 107 e ss. T.F.U.E., e con il lavoro ermeneutico della giurisprudenza delle Corti sovranazionali su tali disposizioni. Per quel che concerne la dismissione privata dei beni immobiliari aziendali, per esempio, in un’ottica di rivalutazione della “facoltà” legislativa statuale di cui all’art. 43 Cost., di destinare “originariamente” allo Stato o ad enti pubblici o a collettività di lavoratori o utenti determinati beni attinenti a settori nevralgici della produzione di ricchezza, si rende necessaria un’indagine sui programmi di cui all’art. 41, comma 3, Cost., il quale appunto sancisce che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. In questi fini sociali potrebbe pertanto rientrare l’ipotesi dell’acquisizione dei beni immobili aziendali all’entroterra di peculiari beni comuni, di tipo collettivo, che erano stati resi “vacanti” per abdicazione imprenditoriale. Occorrerebbe a tal punto focalizzare l’indagine su come la struttura legislativa e dogmatica eventuale dei beni, ed in particolare dei beni comuni, possa conciliarsi con la facoltà statuale di cui all’art. 43 Cost., da un lato, e dall’altro lato come il concetto di proprietà collettive, che potrebbe divenire un multifunzionale concetto specifico e consequenziale rispetto al concetto di bene comune, sia in concreto compatibile con il meccanismo insito nel principio di sussidiarietà orizzontale exart. 118, comma 4, Cost., il quale sancisce che Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base appunto del principio di sussidiarietà.

Il presente suggerimento di lavoro scientifico da condividere in un dibattito pubblico tra studiosi del diritto, della politologia e della sociologia delle organizzazioni, intende porsi quale spazio scientifico d’indagine per una critica propositiva da apportare alla normativa civilistica sui beni nella loro attuale suddivisione categoriale, con una connessa rivalutazione delle dottrine che propongono l’edificazione legislativa della composita categoria dei beni comuni. Le riforme strutturali in questione garantirebbero una risposta alla crisi e/o alla volontà liberatoria-abdicativa dei soggetti proprietari immobiliari, da un lato, e dall’altro lato alle necessità sociali delle categorie meno abbienti della popolazione, prime destinatarie, all’interno della generalità dei consociati, di assistenza e servizi da adottare con mezzi idonei. La connessione che si realizza tra la teoria dei beni comuni ed in particolare tra la categoria dei beni pubblici sociali, e la teoria dell’autonomia negoziale ablativa della dimensione dominicale, tende a realizzare il carattere di funzionalità sociale di cui all’art. 42 Cost., in un’ottica non più statocentrica, come è stato per i regimi illiberali del socialismo reale dell’Europa orientale, bensì in un’ottica personologica, liberale e sociale al contempo, ispirata ad un evoluto principio di sussidiarietà orizzontale di tipo collettivistico.

La riformulazione ermeneutica del principio di sussidiarietà orizzontale di cui al comma quarto dell’art. 118 Cost., interpretato insieme all’art. 43 Cost. in un rigore tecnico-giuridico scolpito attraverso l’edificazione di categorie specificamente funzionalizzate di beni collettivi, può addirittura costituire un modello utile per i futuri orientamenti evolutivi della giurisprudenza sovranazionale nelle sue differenti Corti, per interpretare il diritto sovranazionale incidente nel sistema italiano ai sensi degli artt. 10, 11 e 117, comma 1 della Costituzione italiana. La prospettazione riformistica qui brevemente esposta, se connessa in modo rigoroso alle supreme fonti sovraordinate dell’ordinamento nel suo macroscopico insieme, può divenire parte integrante di un   humus   giuridico-culturale che tende ad edificare un’Unione europea quale ente pubblico territoriale, sovranazionale, effettivamente sociale, di diritto.


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Luigi Trisolino, nato l’11 ottobre 1989 in Puglia, è giurista e giornalista, saggista e poeta, vive a Roma dove lavora a tempo indeterminato come specialista legale della Presidenza del Consiglio dei ministri, all’interno del Dipartimento per le riforme istituzionali. È avvocato, dottore di ricerca in “Discipline giuridiche storico-filosofiche, sovranazionali, internazionali e comparate”, più volte cultore di materie giuridiche e politologiche, è scrittore e ha pubblicato articoli, saggi, monografie, romanzistica, poesie. Ha lavorato presso l’ufficio Affari generali, organizzazione e metodo dell’Avvocatura Generale dello Stato, presso la direzione amministrativa del Comune di Firenze, presso università, licei, studi legali, testate giornalistiche e case editrici. Appassionato di politica, difende le libertà e i diritti fondamentali delle persone, nonché il rispetto dei doveri inderogabili, con un attivismo indipendente e diplomatico, ponendo sempre al centro di ogni battaglia o dossier la cura per gli aspetti socioculturali e produttivi dell’esistere.