
«Ho cercato e trovato mille maniere per alleviare le tue pene.
Ne trovassi anche solo una per alleggerire le mie»
(ACCA)
Quando si dice che basta la salute non è detto si conosca davvero il valore della frase. Lo sto pensando per un fatto meramente pratico.
È assolutamente vero che non avere quella rende superflua qualsiasi altra cosa e credo sia vera anche la consapevolezza di ognuno che tutto ciò sia talmente ovvio, da poter essere messo nel cassetto degli assiomi scontati.
Eh, scontati, pare la stagione dei saldi.
Dove voglio andare a parare?
Facile, facile. Al fatto che nel rispetto di questa regola, probabilmente, stiamo attenti quando scendiamo le scale o siamo alla guida di un’auto, ci asciughiamo bene i capelli (io no), mettiamo la maglia della salute (in Piemonte anche tre), seguiamo (più o meno) tutti i consigli della nonna; già, i denti, per esempio, ce li laviamo almeno tre volte al giorno?
Poi, per carità, prendiamo anche provvedimenti preventivi per gli imprevisti: doccia, calze pulite e senza buchi, intimo cambiato, ceretta a posto (uomini o donne non fa differenza, fanno eccezione le scimmie e le vittime terrorizzate dal Silkepil, ma è un’altra storia), che non sai mai, metti che fai un incidente e ti portano in ospedale!
Va bene, cara nonna, all’alba ti penso e mi domando perché. Perché hai insegnato tante cose oggettivamente utili e ne hai omessa una? Perché non hai insegnato il significato del verbo somatizzare?
No, perché sai, cara nonna, in mezzo a tutti gli acciacchi che potevi enumerare scrivendo un’intera enciclopedia, ti sei dimenticata di dirci che, specie dopo i quarant’anni (quando scade la garanzia), è necessario evitare una cosa su tutte: fare veleno!
Certo, non potevi sapere che saremmo arrivati ad averne scorte in regalo ad ogni angolo: gente ignorante, discorsi che l’italiano lo lasciano a casa ogni mattina perché è superfluo (l’eccidio del congiuntivo e la scomparsa del participio), saccenteria, pesante assenza e superficiale dimenticanza, razzismo, indifferenza, disonestà, avarizia, meravigliose foto sui social, intere ore di paternali che nemmeno Dio sceso in terra… però tu potevi dircelo: tutto, si somatizza tutto.
E sai che succede? Che dopo un apparente, e solo apparente, giorno di vita e lavoro qualsiasi, stanchi morti ci addormentiamo per svegliarci la mattina del giorno dopo con la tremenda sensazione di essere invasi dall’acido lattico fino alle narici.
Ci fa male la qualunque, ci sembra di aver fatto tre ore di palestra, ma ci accorgiamo di essere flaccidi come il giorno prima. Che sarà stato?
Niente è stato, nonna. È che non ci hai avvisato: pensa alla salute, ovvero, impara innanzitutto a non lasciare che il mondo ti avveleni l’anima, poiché si riversa tutto sul corpo e ci si ritrova a quarant’anni ad essere l’incarnazione di un intero reparto geriatrico, la mattina alle 06:00, senza nemmeno la forza di imprecare contro tutto quanto si imprecava la sera prima.
Sai cosa? Non tutti facciamo un lavoro per cui possiamo stare seduti dietro una scrivania (o fare finta) a progettare un prototipo innovativo che migliori le comunicazioni aeree, né siamo tutti assisi ad affinare software o nobilitare aziende: alcuni provano a costruire persone. E capisco sia un mestiere ardimentoso, per quanto meno prestigioso: di fatto, però, è faticoso!
Non possiamo alzarci la mattina come portassimo il peso dell’emisfero addosso, quando abbiamo il dovere di curare la crescita delle persone: io stessa, per esempio, peso 50 kg. Le mie spalle, fisiologicamente parlando, sono queste; ben poca cosa per quello che intendo.
Nonna! Tu dovevi insegnare l’arte dell’imperturbabilità. Imperdonabile dimenticanza, che personalmente ti ho perdonato già da molto. Mi volevi attenta e meno stoica rispetto alla marmaglia che ci hanno consegnato la tua generazione e quella di tua figlia.
Però nonna, un’armatura di difesa potevi pure lasciarmela: somatizzo tutto, mi fa male ogni muscolo e se aspettassi sollievo, potrei urlare a squarcia gola contro ogni singolo ghiacciaio di queste Alpi, ricevendo in cambio solo la mia stessa eco. Non può essere. Io (e non solo io), così, a quarantun anni non ci arrivo!