
“Gaudete et Exsultate“, una carezza e un pugno sul nostro mondo “sconquassato”: «Non possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo mondo»
La scelta della tipologia di documento, l’esortazione apostolica anziché l’enciclica, indica che il Pontefice non intende esporre una riflessione, ma piuttosto “esortare” i lettori su un tema, quello della santità: uno scritto che rappresenta la terza esortazione firmata da Papa Francesco dopo l’“Evangelii Gaudium” (24 novembre 2013) sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, e l’“Amoris Laetitia” (19 marzo 2016) sull’amore nella famiglia.
Il documento “sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo”, cinque capitoli, 177 paragrafi, 106 pagine e per la prima volta un video-spot di presentazione, certamente non attirerà i media: non riguarda il governo della Chiesa, non annuncia riforme, non affronta direttamente questioni disputate. Appartiene al filone delle omelie di Santa Marta, della visita alle parrocchie, delle catechesi del mercoledì, dell’ordinaria predicazione del Papa incentrata sulla Scrittura.
A illuminare tutto l’elaborato è il monumentale brano delle Beatitudini, punto di riferimento nei tempi di crisi dei riformatori dello Spirito di ogni tempo, nonché una delle pagine più alte di tutto il Nuovo Testamento, che in papa Francesco diventa metodologia operativa e appello.
«Nocivo e ideologico» è «l’errore di quanti vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista». Sottolinea il Pontefice: «Non possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo mondo, dove alcuni festeggiano…, mentre altri guardano solo da fuori», perché violentemente estromessi dalla festa con raggiri di mille parole, in quanto creano ombra al “leader maximo”.
Quella che viene tratteggiata è una visione “popolare” della santità, che non prende in considerazioni i santi “già beatificati o canonizzati” né tantomeno ritiene che per essere santi sia necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Ciò che il Pontefice argentino ha in mente è “il santo della porta accanto”, spesso anonimo e nascosto. Non, dunque, un supereroe, non una persona priva di errori e di peccati, non chi coltiva “l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale”.
Da qui le indicazioni più che pratiche per una santità molto attuale oggi: capace di andare controcorrente rispetto alla violenza, anche quella verbale, su internet o sui mass media, controcorrente rispetto al “consumismo edonista”, capace di trattare un clochard incontrato di notte non come un “fagotto” o un fastidio, ma una persona a cui restituire dignità. Capace di difendere il feto a rischio aborto, ma anche la miseria, l’abbandono, l’esclusione, la tratta di persone, l’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, le nuove forme di schiavitù.
In poche righe il Pontefice liquida chi in un paio di millenni ha visto la santità all’appannaggio esclusivo di un monachesimo contemplativo, maschile e femminile. Al n° 26 di “Gaudete et Exsultate” si legge: “Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può essere accettato e integrato come parte della propria esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione. Siamo chiamati a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione, e ci santifichiamo nell’esercizio responsabile e generoso della nostra missione”.
In molte circostanze il Papa è stato accusato di aver messo da parte la battaglia di Benedetto XVI “contro” il relativismo e la secolarizzazione, così come l’approccio ai temi bioetici, che risulterebbero meno marcati rispetto a quello del Teologo tedesco. Papa Francesco, attraverso questa terza esortazione apostolica, sembra aver voluto rispondere a chi, nel corso di questi cinque anni, ha parlato di “discontinuità” tra i due pontificati e di Bergoglio come un papa “di sinistra”.
Ma c’è spazio anche per un attacco alle “nuove eresie”. Un affondo che sembrerebbe riguardare tanto gli atei quanto i cattolici e soprattutto ecclesiastici. Nel secondo capitolo Francesco mette in guardia da due «sottili nemici», gnosticismo e pelagianesimo: «Due forme di sicurezza dottrinale o disciplinare che danno luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario dove, invece di evangelizzare, si analizzano e si classificano gli altri e, invece di incoraggiare, si consumano le energie nel controllare» (35). Attenzione: questo atteggiamento, avverte il Papa, lo possiamo trovare dentro la Chiesa. È «tipico degli gnostici credere che con le loro spiegazioni possono rendere perfettamente comprensibili tutta la fede e tutto il Vangelo. Assolutizzano le proprie teorie e obbligano gli altri a sottomettersi ai propri ragionamenti» (39).
La dottrina, afferma Papa Bergoglio, «o meglio, la nostra comprensione ed espressione di essa, non è un sistema chiuso, privo di dinamiche capaci di generare domande, dubbi, interrogativi» (44).
Nobilitare la vita è trasfigurarla al servizio di qualcosa che la illumini. Tutte le esistenze, anche le più lontane dai fari della fama, possono elevarsi alla santità partendo dal basso, dalla vita quotidiana, dallo specifico ambito in cui ognuno si trova a operare, sia nel ruolo coniugale, come in quello del lavoro, qualsiasi esso sia.
Non più statue che ci schiacciano per l’inadeguatezza del nostro essere, non più narcisismi, peste del nostro tempo, ma un agire che superi l’egoismo. Non eccitati dall’applauso televisivo e delle proprie “truppe cammellate”, ma persuasi semplicemente dalla bontà confermata dal consenso della coscienza della persona a cui abbiamo teso la mano.