Questo modo di far politica, a discapito di chi non ne può più, non solo comporta irresponsabilità ma diventa una presa in giro per un popolo che non lo merita

Si è parlato di giochi nell’ambito parlamentare per eleggere un “presidente di comodo” invece che una persona costituzionalmente ed eticamente rappresentabile e non certo nominata per gioco di potere. Ma se veramente al gioco siamo arrivati, questo è talmente costoso che la perdita delle intere pensioni, giocate e perse dai malati ludici alle slot machine, non fa più notizia. Come si sta trascurando il debito pubblico, ormai fuori mano.

Una cosa è certa e non si discute: il pappagallismo politico ha raggiunto un surplus di vergogna della quale non ne avverte più l’esistenza. Male che vada è il popolo italiano, non più elettivo di questa ciurma in Parlamento, a farsene una ragione: lasciare tutto in mano al Caronte di turno, troverà lui i mezzi per traghettarla. Solo così si vedrà dove si andrà a sbattere. Si sa quanto marcata sia l’enfasi di chi cerca di mantenere la poltrona e lo stipendio. D’altra parte, non c’è nessun disposto a levargliela dal fondo schiena, salvo che non sia un tipo di medesimo stile e guisa e che lo fa per mettere comodi i propri glutei. Si arriva a far “guerra”, financo. S’inizia con ammiccamenti e manate sulle spalle. Si continua con lievi sgomitate, poi con modi bruschi e invettive… fino al lancio del “guanto” e la dichiarazione di sfida: infine la “guerra”. Ma io dico: continuate con la sfida e lasciate stare in pace la gente, senza coinvolgerla.

Eh no! Non basta. In guerra si muore e certi tipi han paura di morire per cui: la guerra la ordinano su commissione. Come quel “Re umanitario”, descritto da Trilussa in una sua lirica che alle sue truppe faceva sterilizzare le baionette poiché il nemico venisse ucciso, ma disinfettato.

Oh! quante ambizioni emergono in certi frangenti e rimaste a lungo velate. Non somigliano affatto a vasi di Pandora bensì a covi di vipere atte a fare velenose sceneggiate. Bisogna si faccia attenzione a sipari alzati. Le tossiche figure, recitanti il pezzo in locandina dal titolo “Prima carica dello Stato”, sanno recitare solo a soggetto, improvvisando. Visto come son messe le cose e il caotico guazzabuglio dell’inesistente copione, la pochade in atto non sarà per nulla brillante. Risulterà torbida tragedia da far rivoltare Eschilo nel loculo. Il flop rappresentato, ha già svuotato la platea di astanti, dove pure la cassiera, annoiata per la mancanza di nuovi arrivi, si è messa a leggere Guerra e Pace, visto che Tolstoj ha sempre qualcosa da dire.

Nel gran pasticcio all’italiana, i benpensanti (i cosiddetti conformisti), quelli che conservano le proprie idee (a volte da rivedere), in una specie di cervello-alcova, beh, qualcosa sfugge anche a loro per stare al passo coi tempi. Mantenere un atteggiamento oltranzista e dimenticarsi di un popolo in attesa di buoni risultati, non fa che aumentare le disuguaglianze già esistenti. Questo modo di far politica, a discapito di chi non ne può più, non solo comporta irresponsabilità ma diventa una presa in giro per un popolo che non lo merita.

Se già si era intenzionati a lasciare Mattarella come Presidente, come mai i burattinai han menato il can per l’aia mentre il “gregge” era nella stalla? Roba da fannulloni, altro che onorevoli.

Lo si vede dalla conta delle ultime votazioni, scemate d’affluenze alle urne da far ritenere che le persone sono sempre più restie a crederci in questa forma di spuria democrazia, dove viene a mancare da una parte la serietà e dall’altra la voce, lo spirito e l’animo popolare.

Questa è una “guerra” senza pace. Anche  se da noi non mancano colombe e abbondano gli ulivi: abbiamo smesso di volare e gli intelletti non fluiscono più, come l’olio…

La “guerra” è data dall’arroganza e dalla mancata intesa tra gli uomini. Essa non è mai la soluzione dei problemi, ma ne è sempre la causa (Eugen Drewermann).

Si è eletto il nuovo Presidente, Mattarella: ma non era quello di prima? A che è valsa tutta la sceneggiata di novecento e più onorevoli? Totò sarebbe esploso, dicendo: Ma mi faccia il piacere!

Mentre Eduardo De Filippo, alla gran baraonda subita, avrebbe detto: Adda passà ‘a nuttata!


Fontehttps://commons.wikimedia.org/wiki/File:Montecitorio_interior_01.jpg
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Salvatore Memeo è nato a San Ferdinando di Puglia nel 1938. Si è diplomato in ragioneria, ma non ha mai praticato la professione. Ha scritto articoli di attualità su diversi giornali, sia in Italia che in Germania. Come poeta ha scritto e pubblicato tre libri con Levante Editori: La Bolgia, Il vento e la spiga, L’epilogo. A due mani, con un sacerdote di Bisceglie, don Francesco Dell’Orco, ha scritto due volumi: 366 Giorni con il Venerabile don Pasquale Uva (ed. Rotas) e Per conoscere Gesù e crescere nel discepolato (ed. La Nuova Mezzina). Su questi due ultimi libri ha curato solo la parte della poesia. Come scrittore ha pronto per la stampa diversi scritti tra i quali, due libri di novelle: Con gli occhi del senno e Non sperando il meglio… È stato Chef e Ristoratore in diversi Stati europei. Attualmente è in pensione e vive a San Ferdinando di Puglia.