‹‹La carezza trascende il sensibile. Consiste nel non impadronirsi di niente, nel sollecitare ciò che sfugge e ciò che si sottrae come se non fosse ancora.In un certo senso esprime l’amore, ma soffre per un’incapacità di dirlo›› (Levinas).
La carezza non è un semplice contatto dell’altro, ma è amore filtrato attraverso la pelle. Essa passa attraverso la pelle, confine del corpo e luogo di scambio per eccellenza, aperto sul dentro e sul fuori, per poi andare oltre.
Ecco la bellezza delle parole di Levinas: ‹‹La carezza trascende il sensibile››, va oltre quello che vediamo e percepiamo con i sensi, per volgere lo sguardo a ciò che è presente nell’intimo.
Come continua a scrivere Levinas nella sua opera “Totalità e Infinito”, ‹‹la carezza consiste nell’impadronirsi di niente››, cioè accoglie l’altro, accettalo così come si presenta con i suoi pregi e difetti, senza essere invadente.
Alcuni affermano che il corpo possa dire molto più della parola e che la carezza dia piacere a chi compie il gesto e a chi lo riceve.
Certo, l’uomo ha bisogno di carezze: carezze tenere, affettuose, amichevoli, sensuali ed erotiche, che trasmettono il calore dell’amore all’altro, calore ancora più necessario nel momento del dolore, per non sentirsi soli e abbandonati al mondo.
La filosofa e psicanalista belga Luce Irigaray descrive così l’atto di accarezzare l’altro: ‹‹Il custode più finemente necessario alla mia vita è la carne dell’altro. Che mi avvicina e parla con le sue mani. Rigenerandomi più intimamente di tutte le vivande che si presentano tali, le mani dell’altro, queste palme con cui mi avvicina senza attraversarmi, mi rifanno i bordi del mio corpo e mi chiamano a ricordarmi della profonda intimità. Accarezzandomi, non mi invita a sparire né a dimenticare, ma a rammentarmi del luogo in cui si riserva, per me, la vita più segreta››.
Ai nostri giorni la tenerezza è impallidita. I comportamenti, anche in amore, sono sbrigativi, i contatti fugaci. Si ha un’infinita fame d’amore, ma di un’ amore di corpi senz’anima.
Ecco, la carezza ha senso solo se c’è l’anima, altrimenti è solo uno sfregamento di pelle.
Per questo è necessario ritornare alla carezza che fa “nascere” la carne dell’altra persona in un’intimità profonda e spirituale ove anima e corpo si fondono in una unità d’amore.
Un pensiero particolare va a coloro che sono scartati dalla società e che hanno bisogno delle nostre carezze; il pensiero va agli anziani soli, a quelli chiusi negli ospizi, agli ammalati, costretti a stare negli ospedali, ma anche ai quei bambini che sognano la carezza di una madre che non hanno conosciuto o di un padre che usi più carezze e meno abusi.
Per noi che abbiamo la fortuna di avere vicino i nostri cari, l’invito è ad accarezzare chi amiamo, guardando all’ “intensità degli attimi”, non solo degli istinti.
Solo così la carezza sarà espressione d’amore.