Può essere un’immagine idilliaca in cui rifugiarsi nostalgicamente nei momenti più bui? Una fiaba per bam­bini o una fata morgana? No! È una realtà da costruire, riaprendo canali di comunicazione, eliminando ciò che intralcia l’incontro con l’altro, cercando la ricostruzione di quel tessuto sfilacciato chiamato “relazio­nalità”: sullo sfondo, la speranza di contemplare il convergere di folle in cammino, non più smarrite come pe­core senza pastore.

Lavorare per riparare, insegnare per restaurare, amare per educare: in qualunque caos gli individui si trovi­no, quello sarà il punto di partenza per ogni viaggio di “ritorno a casa”, luogo della familiarità ricostruita, dopo la bufera scatenata da chi, inesperto, facendo leva sul silenzio di Dio, si è improvvisato “deus ex ma­china” della situazione. Qui non poteva mancare l’appoggio di quella “dittatura di consensi”, creata da chi non verifica infor­mazioni, che a volte sconfinano nelle insinuazioni: una verità detta a metà non è una “mezza verità”, ma una menzogna! In questo contesto di “lacerazioni”, è obbligo morale porsi la questione di approfondire e ricer­care, con un sano lavoro di discernimento, le motivazioni dei drammi prodotti nella vita della gente da chi è ammaliato dal mito dell’«io» in costante competizione e ostilità. Con la tene­rezza offerta, è possibile uscire da questo “corto circuito della paura” per creare una casa, quale luogo della reci­procità, in cui ci si sente sicuri anche al buio.

Il rapporto di tenerezza non angoscia perché non comporta ricerca di vantaggi e di supremazie. L’intenerimento è una forza del cuore: è il desiderio profondo di condividere i cammini. La tenerezza, quindi, irrompe quando la persona esce da sé e va verso l’altro: partecipa della sua esistenza, si lascia toccare dalla sua storia di vita. Questo indugiare nell’altro non è in vista delle sensazioni che produce, ma è frutto di un amore semplice e di apprezzamento per l’altro… per la sua vita e la sua lotta. Dostoevskij parla di tene­rezza quale “forza dell’amore umile”. In effetti, non è una virtù dei deboli, ma dei forti: amare è una scelta di campo; nel momento esatto in cui si sceglie di amare, ci si impegna ad aver cura dell’altro, sempre.

Prima che si apra la porta dell’abisso di fronte ai nostri passi, la tenerezza, quale scelta relazionale profon­da, spalanchi la strada per il passaggio dalla società della paura ad una società della speranza!

La vera sfida rimane quella di insegnare a ricercare, al di là del risultato, modi sempre meno ba­nali, per ab­bracciare, in una graziosa e serena avventura, lo snodarsi della “tenera esistenza umana”: avvertendo il calore di una vita che chiede, che invoca, che pretende… anche un tenero abbraccio, come quello della ma­dre che fa appoggiare il capo del suo bimbo al suo seno accarezzandolo e coccolandolo.

Elia Ercolino


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