
Il trionfo di Joker come miglior film alla 76esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia
Da ”Non dimenticare di sorridere” a ”Non sorridere” il passo è breve ma, al tempo stesso, infinitamente lungo, si dipana all’orizzonte di un’esistenza grama e colma di follia, una deriva sociale a cui si abbandona Arthur Fleck, il Joker del regista Todd Phillips, interpretato da uno straordinario ed eclettico Joaquin Phoenix. Distribuito dalla Warner Bros e prodotto dallo stesso Phillips con Bradley Cooper ed Emma Tillinger Koskoff, Joker si basa su una versione inedita del personaggio creato dalla DC Comics, nemico di Batman, l’uomo pipistrello, il giustiziere mascherato di Gotham City.
La sceneggiatura di Todd Phillips e Scott Silver e la colonna sonora della violoncellista islandese Hildur Guonadottir danno alla pellicola un ritmo incalzante senza tuttavia rinunciare alla lentezza introspettiva di un protagonista la cui evoluzione, purtroppo, finisce per attrarre lo spettatore in un vortice di violenza da cui diventa difficile distaccarsi. Un clown, Arthur Fleck, buono nelle intenzioni, desideroso di divertire, disturbato da una risata isterica giustificata, di volta in volta, di fronte ai suoi interlocutori con un bigliettino da anamnesi, raccapricciante imbarazzo e disarmante disagio, piaga sociale degli emarginati, degli ultimi, degli sconfitti, di quelli che anelano ad istanti di celebrità, un’apparizione in tv, l’idolo dello schermo Murray Franklin (Robert De Niro), intrattenitore sadico, vittima e carnefice della furia vendicativa di quel nome, Joker appunto, dileggiato con nonchalance.
Una vita parallela, quella di Arthur, figlio amorevole di una madre mendace (Frances Conroy), fidanzato immaginario di Sophie (Zazie Beetz), una spasmodica ricerca del riscatto promesso, e mai mantenuto, dai poteri forti fra cui Thomas Wayne, genitore illegittimo del caos che distruggerà l’intera città e papà di Bruce, erede di un impero milionario in profonda contraddizione con il mantello che, qualche anno più tardi, indosserà.
Il trionfo di Joker come miglior film alla 76esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia premia il soggetto ideato da Bob Kane, Bill Finger e Jerry Robinson, i costumi di Mark Bridges, ma soprattutto l’interpretazione di Joaquin Phoenix, salito sul palco per ritirare un Leone d’Oro meritatissimo, prodromico riconoscimento di una caricatura destinata ad incastonarsi nelle immortali pietre preziose della Settima Arte, al pari di Heath Ledger e Jack Nicholson, antesignani di un antagonismo dalle sottili nuances, polveri di malvagità da inalare come una stilla che, nel tempo, deforma le granitiche e rocciose certezze di una civiltà che si regge sul fil rouge di un equilibrio effimero.
Joker è a metà fra cabaret e psicologia, è la metodica riflessione di un uomo che rivoluziona se stesso, scevro da sensi di colpa, bramoso di sangue e paura, un sorriso stampato sulla faccia felice, anzi, “Happy” come lo chiamavano da bambino, labbra che biascicano tormento, commessura allargata fino all’eccesso, verso la sconfinata abilità recitativa di un attore, Phoenix, empatico come pochi.