Al Castel dei Mondi, lo spettacolo ideato e messo in scena da Camilla Parini, del Collettivo Treppenwitz
Di solito non scrivo mai dei colleghi, per mia scelta, ma in questo caso, data l’originalità della performance, non posso che condividere con voi l’esperienza da semplice spettatrice, che ho fatto qualche giorno fa, perché questa performance, più delle altre,
ha il potere di approfondire “l’incontro catartico ” faccia a faccia, tra esseri umani, prima che artisti.
“Je suisse (or not)” è lo spettacolo ideato e messo in scena da Camilla Parini (del Collettivo Treppenwitz), nella biblioteca comunale “G.Ceci”,
vanta il record di repliche :18 repliche al giorno dalle 10 del mattino alle 22:30 , dal 30 agosto all’8 settembre.
Già nel titolo intuiamo il gioco di parole e assonanze: in francese “je suis”, vuol dire “io sono” , mentre “suisse” vuol dire “Svizzera”.
La performance prevede uno o al massimo due spettatori per volta, ed ha la durata di 30 minuti.
Non rivelerò i dettagli sorprendenti della performance, per evitare lo spoiler per chi non l’avesse ancora vista, ma vi consiglio vivamente di recuperarla.
Si tratta di un viaggio alla ricerca dell’identità: una ragazza, una bimba di nome Camilla,
va alla ricerca della propria identità rovistando tra i ricordi, gli album di famiglia, ricercando nella propria nazione, nel proprio territorio.
Dove iniziano i nostri confini e finiscono quelli culturali, ambientali, familiari?
Dove inizio “io” e finisce l’ambiente che mi circonda?
Dove inizia la maschera del “cuteness”?
Alla ricerca della nostra identità, ci nascondiamo spesso dietro la maschera del “cuteness”, “dell’essere adorabili”, per essere accettati dalla società, perché se qualcosa è “cute” fa meno paura, ma qual è la nostra identità?
Fino a quando siamo disposti a portare quella maschera rassicurante e sognante?
I volti degli attori sono nascosti per tutta la performance e solo alla fine lo spettatore potrà decidere se togliere la maschera del “cuteness” rivelando e restituendo la propria identità agli attori, o lasciare la stanza con la sensazione idilliaca di aver condiviso un sogno, pieno di verità in un mondo surreale, guidati da un delizioso orso polare.
Quella “Camilla” rappresenta tutti noi, alla ricerca di noi stessi, ci prende per mano come se fossimo bambini e tra un orsetto gommoso e un sorriso riesce ad accompagnarci nel suo viaggio pieno di interrogativi esistenziali e ironiche illuminazioni.
La follia, l’originalità della performance e la sua semplicità sono davvero il risultato di un lunghissimo lavoro di ricerca, profondo e dettagliato, che ha portato spesso alla catarsi dello spettatore che si riconosceva in quel viaggio esistenziale.