
Il gelo della clandestinità sportiva
«Abbiamo appreso con estremo dispiacere della morte di Issaka Coulibaly, il portiere di una squadra di amici che qualche volta è venuto ad allenarsi con noi negli scorsi anni».
Ad annunciarlo è il profilo social del St. Ambroeus, società di calcio che, cinque anni fa, iscrisse, per la prima volta in Italia, ai campionati FIGC, una squadra di richiedenti asilo e rifugiati.
La triste carriera del 27enne calciatore, originario del Togo, si è conclusa in un capannone abbandonato in via Corelli, a Milano. Solo un documento, nella sua tasca, ha permesso di identificarlo.
Issaka è morto di freddo, dimenticato da tutti, con un sogno nel cuore, una passione sportiva tutta da vivere. Ricostruendo il suo palmares si scopre che Coulibaly aveva giocato nella squadra milanese del «Piccione», (Seconda Categoria), proprio sui campi di via Corelli, nel ruolo di portiere.
Ci sono morti che suscitano dispiacere, altri che provocano immensa rabbia. Già, perché morire di gelo, in Italia, a Milano, nel 2023 è una tragedia che, consentitecelo, sarebbe stato facile evitare, sarebbe bastato garantire ad Issaka una vita regolare, senza costringerlo alla clandestinità, ad una vita ai margini, senza poter guidare, affittare una casa e, soprattutto, senza lavorare.
Dov’è la Giustizia in tutto questo? Dov’è la Misericordia in questa baraonda? Dov’è la Carità in questo tempo così moderno e così assente?