
«La felicità non ha storia, dice Tolstoj. Ma non è vero, la felicità ha storia, la felicità è l’unica cosa che andrebbe descritta, insegnata»
(Goliarda Sapienza da Lettera aperta, tratta da AUTOBIOGRAFIA DELLE CONTRADDIZIONI)
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«E quelle parole spalancarono un baratro davanti a me e capii come è difficile l’arte di non sperare più… la più difficile delle arti»
(Goliarda Sapienza da ll filo di mezzogiorno tratto da AUTOBIOGRAFIA DELLE CONTRADDIZIONI)
Si è conclusa da pochi giorni, su Sky, la miniserie “L’arte della gioia”, diretta dall’attrice e regista Valeria Golino, risultato di un adattamento dell’omonimo romanzo della scrittrice catanese Goliarda Sapienza.
Non ho Sky e quindi non ho visto lo sceneggiato, né so se ha riscosso successo di pubblico e di critica.
Conosco il romanzo per averlo letto da qualche settimana, non senza poi aver approfondito la vita della scrittrice, gustandomi anche la sua Autobiografia delle contraddizioni e l’autobiografico romanzo breve Appuntamento a Positano.
Fino a qualche mese fa non sapevo neanche dell’esistenza di questa grande e negletta scrittrice. Mea culpa, naturalmente.
Assistita, però, dalla fortuna di un gentile ed intelligente suggerimento di una donna intelligente e gentile, sono venuta a sapere di Goliarda Sapienza e del suo capolavoro L’arte della gioia. Che ho “divorato”.
La storia (in parte autobiografica), scritta talvolta in terza persona, talvolta in prima, narra le complesse e intense vicende di Modesta, una donna di umilissime origini, – venuta al mondo il Capodanno del 1900-, dalla nascita al 1960.
Modesta è una donna libera e forte in una Sicilia (e un’Italia) bigotta e conformista.
Anche se nasce e vive in un ambiente poverissimo e degradato e viene violentata dal padre biologico in visita alla madre, evade da quella condizione di disperazione socio-economica, non senza aver prima causato l’incendio della casa in cui vive con la madre ed una sorella disabile (che ne son vittime), per poi farsi accogliere in un convento, la cui madre superiora Modesta riesce a manipolare (cagionandone, poi, in qualche modo, la morte).
Si trasferisce presso la famiglia nobile e benestante della superiora, che l’ha nominata beneficiaria nel suo testamento. In questa famiglia finisce, dopo varie vicissitudini, per diventare fulcro interno, ma anche esterno, poiché, e siamo in periodo fascista, la casa in cui vivono diverse generazioni, rappresenta un punto di riferimento dell’antifascismo militante.
Anche il periodo della seconda guerra mondiale la vede protagonista. Viene arrestata, mandata al confino in un’isola campana, dove si ammala di tifo, riuscendo a sopravvivere.
Da protagonista vive anche i primi anni della Repubblica, poiché si dà alla politica attiva.
La bellezza di questo romanzo sta nella capacità dell’autrice di raccontare con un vitalismo entusiasta e coinvolgente anche vicende dure e drammatiche, senza mai perdere il gusto della vita.
Modesta, donna intelligentissima, ingorda di conoscenza, sensualissima e innamorata della vita e delle persone, è come un dolce uragano che si nutre d’amore, carnale e spirituale, verso uomini e donne, perché è curiosa degli altri (e anche straordinariamente manipolatrice).
La Sapienza scrive con uno stile denso, senza pause e senza vuoti, una storia corale, ricchissima di eventi e personaggi, che par di ascoltarli mentre giocano, chiacchierano, litigano, seducono, passano da una stanza all’altra, ridono, fanno l’amore.
E la lettura del romanzo dà al lettore entusiasmo, lo coinvolge, lo avvolge e lo catapulta sul palcoscenico della vita che, anche se dolorosa, non fa mai sorgere il desiderio di abdicarvi.
L’autrice mescola “sapienzialmente” (nomen omen?) tutti gli aspetti dell’esistenza, per cui la “commedia umana” che descrive non manca di nulla e proietta, attraverso il percorso di Modesta e degli altri comprimari, un fascio di luce che illumina la vita e la rende degna di essere vissuta, senza moralismi, senza limiti sociali, senza sensi di colpa.
Il libro, dopo la girandola di eventi che mescolano pubblico e privato, in cui giovani e vecchi convivono in armonia e in continuità, attraverso passaggi di testimone da una generazione all’altra, in una grande famiglia allargata in senso lato, si conclude con un dialogo interiore di Modesta che capisce che deve narrare la sua vita straordinaria e renderla patrimonio comune delle future generazioni.
Il romanzo, che ha avuto nel nostro paese, una vita difficile, venendo ignorato ed emarginato, come l’autrice, ha avuto successo postumo in Germania e Francia, che hanno fatto da apripista perché avesse l’accoglienza che meritava anche in Italia.
Ma, fino alla traduzione in sceneggiato televisivo, è rimasto patrimonio e lettura di pochi. Forse perché parla, senza censure, di manipolazione, delitti, sesso a tutto tondo e senza moralismi, in un paese come il nostro dove la maggior parte di questi contenuti è considerata tabù.
Chissà se gli autori di manuali di storia della letteratura per le scuole abbiano inserito o meno questo grandissimo romanzo tra quelli della nostra storia letteraria contemporanea.
Questo romanzo, a parere di chi scrive, ha lo stesso valore di rottura e scandalo che ha avuto nella letteratura francese Madame Bovary e in quella inglese L’amante di Lady Chatterley. Con la differenza che “scandalosi” personaggi femminili sono stati raccontati da uomini (Gustave Flaubert autore di Madame Bovary e David Herbert Lawrence per L’amante di Lady Chatterley), mentre L’arte della gioia è stato scritto da una donna che parla di un’altra donna, con quella cognizione di causa che solo una rappresentante del “gentil sesso” può avere del suo genere. E la cui lettura crea un’energia gioiosa, “carnale”, com’è questo libro, che fa amare la vita.