Il 29 aprile è stato approvato un nuovo Decreto Legge riguardante, fra le altre cose, la tutela dei dati personali in particolare nel Contact Tracing.

Ne avrete sentito parlare probabilmente quando è comparsa la notizia dell’App Immuni che permette di ricostruire il percorso a ritroso compiuto da un probabile infetto dal Covid-19, per risalire a chiunque abbia avuto contatti con quest’ultimo.

Ad oggi questo processo è svolto manualmente dagli operatori sanitari e presenta ovviamente dei limiti (basti pensare alle persone sconosciute all’infetto che ovviamente non verranno avvisate) che potrebbero essere superati grazie all’utilizzo di una nuova tecnologia di tracciamento che tuttavia sta agitando l’opinione pubblica riguardo alla tutela della privacy di ogni cittadino, arrivando addirittura a far riferimento al ‘’Big brother’’ orwelliano. Ma dobbiamo davvero preoccuparci?

Spiegandolo con termini elementari, l’App dovrebbe funzionare attribuendo ad ogni dispositivo un codice anonimo, non riconducibile al proprietario: incontrando altre persone i cellulari andrebbero a scambiarsi automaticamente il proprio codice creandosi così una lista personale. Nello sfortunato caso in cui un possessore dell’App scopra di essere infetto, questa provvederà a notificarlo su tutti i dispositivi nei quali compare il codice del malato, senza che sia possibile in nessun modo risalire alla sua identità. Non esiste quindi alcuna geolocalizzazione e non si creerebbe in nessun caso un effetto ‘’appestato’’ verso chi risulta positivo.

Si sta però molto discutendo sulla metodologia da adottare fra due opzioni: un sistema centralizzato che raccoglie i dati su un server esterno, utile alle autorità sanitarie per risalire a chi effettivamente viene a contatto con il positivo al Covid così da essere sicuri che adotti misure adeguate; oppure un sistema decentralizzato che lasci i dati solo sul dispositivo, rendendo quindi difficile o impossibile risalire all’identità, ma con il limite del buon senso di chi viene avvisato del possibile contagio. In ogni caso però è specificato nel Decreto che ogni dato raccolto verrà distrutto entro il 31 dicembre 2020.

Sembrano quindi esserci problemi in entrambi i casi, eppure c’è un muro difficilmente sormontabile alla base della questione che quasi vanifica ogni possibile soluzione: i tamponi. Si stima che, nel remoto caso in cui l’App venisse scaricata dal 60% della popolazione italiana (basti pensare che nemmeno WhatsApp ha questa affluenza) e che quindi avesse un funzionamento ottimale, bisognerebbe erogare circa 400.000 tamponi per soddisfare la richiesta di tutti quelli avvisati giornalmente (impensabile considerando che al momento sono ‘’solo’’ 60.000). Stento quindi a credere che Giorgio,  nome di fantasia, dopo l’avviso dell’applicazione si limiti a rinchiudersi in quarantena per due settimane in attesa dei possibili sintomi, come stabilito dal Governo, e lasci ancora una volta il proprio lavoro senza poter effettivamente verificare se affetto o meno.

Come Giorgio, fra qualche tempo, tutti noi saremmo liberi di scegliere se scaricare l’App in questione.