L’unica via d’uscita sarebbe cambiare l’articolo 75 della Costituzione…

Irreversibile. È questo l’aggettivo usato da Mario Draghi per rispondere alla domanda di chi gli chiedeva se è possibile, per un paese aderente alla moneta unica, uscire dall’euro.

Periodicamente, specie durante le campagne elettorali, si accentuano gli scontri tra favorevoli e contrari all’appartenenza e permanenza dell’Italia all’Unione Monetaria, decisa nel Trattato di Maastricht nel 1992.

Tra stime di costo e ripercussioni sulla vita dei cittadini, primariamente, sarebbe utile capire cosa realmente dicono i Trattati Comunitari su questa possibilità  – e non meno, se l’ipotesi di uscita è contemplata dalla nostra Costituzione con il tanto famigerato “referendum sull’euro”. Lasciando per un momento da parte le idee più o meno realistiche di chi (da anni e non solo recentemente) pensa che basti un decreto e un fine settimana di produzione di monete nazionali, volendo seguire la procedura che tiene conto del parere dei cittadini, vediamo cosa accadrebbe.

Bene, Trattati europei alla mano, partiamo da questo presupposto: è impossibile per uno stato aderente all’Unione Monetaria – quindi alla moneta unica, abbandonare l’euro senza uscire dall’Unione Europea.

Per come l’Unione monetaria è stata elaborata e scritta nel trattato di Maastricht (e seguenti norme comunitarie) dai dodici  membri della Comunità Europea, non esiste via d’uscita dall’euro. Nei trattati europei non è prevista questa possibilità.

Né il Trattato di Maastricht né il successivo Trattato di Lisbona dicono nulla su una possibile procedura da seguire per abbandonare la moneta unica.

La politica monetaria comunitaria è inclusa nel capo 5 del trattato dell’Ue, firmato a Maastricht nel 1992. Scorrendo gli articoli parole come “uscita”, “recesso”, “abbandono”, non sono contemplate. Anzi. Il comma 3 dell’articolo 140 indica che il Consiglio fissa “irrevocabilmente” il tasso di cambio per il paese candidato all’ingresso dell’euro zona. Questo è a sostegno di coloro i quali sostengono che, una volta entrati nell’unione monetaria, non si può tornare indietro. A prima analisi quindi, per vie comunitarie, nessuna possibilità per lasciare solo “un pezzo “dell’Unione e restare nelle altre politiche comunitarie e all’interno delle Istituzioni. Lasciare la sola politica monetaria è correlata all’abbandono in toto dell’Unione, cosa, peraltro, possibile solo da pochi anni. La facoltà di uscire dall’Unione è stata “dimenticata”, più o meno inconsapevolmente, per 50 anni. Dal Trattato di Roma del 1957 fino al Trattato di Lisbona del 2009, gli Stati membri non avevano previsto nessuna procedura per l’uscita dalla Comunità. La mancanza è stata risolta dall’art. 50, la celebre “clausola di recesso” utilizzata dalla Gran Bretagna per abbandonare l’Unione.

In base all’articolo 50 del Trattato di Lisbona, uno Stato membro che decide di recedere volontariamente e unilateralmente dall’UE, deve notificare tale decisione al Consiglio europeo, il quale presenta delle proprie conclusioni utili a giungere ad un accordo di recesso. I trattati comunitari cessano di essere applicati nel Paese ex membro a decorrere dall’entrata in vigore dell’accordo di recesso, o due anni dopo la notifica di recesso.

Abbandono dell’euro unita all’abbandono dell’Unione, quindi. Possiamo essere sicuri che quasi nessuno, al momento, tra gli italiani, voglia uscire dall’Unione Europea. Sarebbe un colpo letale per l’UE stessa che perderebbe un Paese fondatore, la terza forza economica dell’Unione – un membro che, attualmente, occupa 3 cariche istituzionali comunitarie di vertice su cinque (Tajani, Mogherini, Draghi…).

Ma proviamo ad immaginare cosa accadrebbe se il nostro Paese provasse, magari dopo una rilettura abbastanza improbabile dei trattati, oppure tentando una prova di forza, a lasciare la sola unione monetaria. Quale sarebbe la procedura da seguire guardando la nostra Costituzione?

Iniziamo col ricordare che un referendum di questo tipo in italiana sarebbe incostituzionale.

L’articolo 75 della nostra Costituzione, al secondo comma, vieta di sottoporre a referendum abrogativo le leggi di ratifica dei trattati internazionali e sia l’adesione all’Unione che l’appartenenza alla politica monetaria comunitaria sono racchiuse in trattati internazionali.

Cosa si potrebbe fare? L’unica via d’uscita sarebbe cambiare l’articolo 75 della Costituzione, con la procedura parlamentare detta “aggravata” (ex articolo 138) che comporterebbe, in ogni caso, un tempo piuttosto lungo.

Solo dopo aver cambiato l’articolo 75 si potrebbe indire un improbabile referendum abrogativo (del trattato di Maastricht ), oppure, attraverso una legge costituzionale, autorizzare un referendum consultivo per chiedere il parere degli italiani sull’uscita dall’euro. Il risultato, è necessario premetterlo, non sarebbe vincolante.

In ogni caso si tratterebbe di procedure lunghissime, che porterebbero ad una lacerazione profonda del Parlamento e dei cittadini stessi, oltre a provocare gravissime conseguenze legali, istituzionali ed economiche nei rapporti tra Italia e Unione Europea.