Ma il futuro sarà altra storia

Caro Direttore,

a forza di parlare del pericoloso governo gialloverde e della nostra decadenza come Paese, ci siamo scordati, io per primo, di parlare del come uscire da questo baratro. Non faccio l’elenco dei fatti per i quali questo governo è pericoloso, elenco noto a tutti voi, e comunque a tutti gli uomini e le donne in buona fede. Vorrei  dedicare qualche considerazione al Pd, che oggi apre i gazebo per l’elezione del segretario che sostituirà Renzi, dopo la troppo lunga supplenza di Martina. I gazebo arrivano in ritardo di almeno sei mesi, forse era meglio aprirli subito dopo le disastrose elezioni del 4 marzo dell’anno passato, un anno esatto lunedì prossimo.

Al di là delle mie personali perplessità sulla forma, vorrei però spezzare una lancia a favore della sostanza. Un milione di uomini e donne oggi sceglieranno fra Zingaretti, Martina e Giachetti: tre persone stimabili e capaci. Manca una donna nella competizione, e questa non è una buona cosa, per quanto compresibile in un Paese piuttoso arretrato in questo campo. Arretrato anche rispetto alla “vecchia” politica. Ma il fenomeno riguarda le leadership di tutti i partiti italiani, tranne Fratelli d’Italia, quello più reazionario, persino più a destra dei razzisti di conio leghista. Vabbè, lasciamo perdere.

Non sono iscritto al Pd, sono un suo elettore, vengo da una storia catto-socialcomunista, ero già piddino prima del Pd di Veltroni e successori fino a Renzi. Credo che un partito di ispirazione socialdemocratica e liberale sia necessario in un Paese europeo. Il Pd nasce in Italia appunto dallo sposalizio di storie di sinistra e cristiano sociale. Dunque, credo che un partito con questa ispirazione sia necssario, insostituibile. Non parlo di politicismo, parlo di linee guida per una politica possibile nel mondo globale, mentre Trump punta a scassare l’assetto delle istituzioni in America e i sovranisti fanno lo stesso lavoro in Europa, con l’appoggio di Putin. In Italia, chi si oppone allo sfascio, che avanza per mano dei populisti pentastellati e leghisti, è soltanto il partito democratico. Ma, c’è un ma…

Che vinca Zingaretti o Martina o Giachetti, il Pd non pensi che la storia riparte per tornare al com’eravamo, no. Gli ideali non sono in discussione, ma c’è da prendere atto che i partiti come li abbiamo conosciuti noi stanno scomparendo. Oggi, per difenderci dai nuovi fascismi, abbiamo bisogno di tutti gli uomini di buona volontà, non per fare le liste-ammucchiata, ma per rimettere in circolo nelle vene del Paese il buon sangue della democrazia non virtuale, che poi sappia affrontare le disuguaglianze e le ingiustizie. I vecchi schemi non bastano più per fermare l’ondata di vendetta sociale.

Un solo esempio può aiutare a capire. A detta di tutti gli esperti e a detta dei numeri, i governi Renzi e Gentiloni sono stati i migliori che l’Italia abbia avuto negli ultimi vent’anni. Eppure il Pd ha più che dimezzato i voti, rispetto alle elezioni europee del 2014, quando aveva conquistato il 40,1 per cento. Adesso è al 18 più o meno. I perchè? L’aria che nel mondo cambia, il rinascere degli egoismi, la negazione della storia, la rabbia spesso a sproposito: o pensiamo che sia in povertà il 60 per cento degli italiani che hanno votato gialloverde?

Il mio insignificante parere è che oggi sia inutile attardarsi all’inseguimento del vecchio modello di partito. Bisogna tornare nelle piazze a farsi vedere e sentire. Il sindaco Sala a Milano continua a organizzare giornate con i cittadini che cercano un’alternativa allo sfascio. Centinaia di migliaia di uomini e donne che si incontrano e discutono. Non comizi, no. Parole d’ordine e silenzio, non di maggioranze silenziose, ma di presenze in carne ed ossa che dicono sì al futuro, ma non a quello autarchico e chiuso al mondo.

Ecco, penso che chiunque vinca, Zingaretti è favorito, debba ripartire dalle piazze milanesi e napoletane e baresi …Senza giochi di un Palazzo che è vicino al crollo.

Buone primarie a chi ci crede ancora!


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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).

4 COMMENTI

  1. Caro Direttore,
    nel moderno linguaggio fatto di simboli alfanumerici ed emoticon, questo articolo (e mi spiace) meriterebbe un grande :facepalm:
    È necessario svecchiarsi degli ideali del ‘900 che hanno formato, inorgoglito e intestardito tutti quegli uomini e quelle donne che credono che la Cultura gli appartenga.
    Ci una vuole una “guerra”, “uno scontro” diretto affinché costoro siano sbugiardati, parlare pacificamente con loro significa perdere in partenza, perché oggi i media appoggiano sui loro paradigmi culturali. Io sono più che certo comunque, che pur senza alcuno “scontro” diretto, passati 25-30 anni, di loro non ci sarà più memoria. L’importante è fare attenzione al fatto che con la loro ipocrisia, non deviano i più giovani affinché questi li seguino o peggio, affinché le loro idee-zombi non camminino sulle gambe delle giovani generazioni.

  2. Non rispondo quasi mai più di una volta, perché lascio dignità al pensiero di chi risponde, come è giusto che sia: una volta si deve esprimere la propria opinione.
    Però l’immagine di Mel Gibson non l’accetto perché non amo i film USA e i loro attori, ma non l’accetto perché quell’espressione non mi appartiene nemmeno lontanamente.
    La nostra distanza c’è tutta, ma risiede principalmente nel linguaggio.
    Cos’è? Quando l’autore di questo articolo fa sfoggio di tutta la sua indignazione contro chi è diverso da lui, allora è il “giornalista acculturato” che fa satira pungente, se invece mi indigno io, allora sono l’immagine di Mel Gibson in “ipotesi di complotto” su wikipedia. Non ci sto. Anzi… avete sbagliato voi e avete sbagliato e continuerete a farlo perché conoscete un solo linguaggio, una sola cultura, ai quali vi siete arroccati per dare certezze alla vostra esistenza.
    Il limite è vostro fratello, il circoscritto il vostro amante.

    • Caro Nunzio,
      mi spiace tu reagisca così. Se rileggi i tuoi vari commenti, in cui, anche a questo umile direttore, di appena quattro o cinque anni più anziano di te, hai ripetutamente dato del “vecchio” e, in poche parole, dell’ottuso, forse vedresti perché ho pensato alla parola “complotto”. Resterò nel mio limite. Lo adoro. Lo sono. Est modus in rebus. Un caro saluto.

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