La storia narra che il re Salomone quando fu consultato da due donne che si contendevano lo stesso bambino propose di tagliarlo a metà

Pillon ha sempre espresso posizioni molto chiare su come la famiglia dovrebbe essere: cattolica, etero, con figli e possibilmente basata su legami indissolubili.

Se però la coppia viene meno è necessario regolare i rapporti famigliari ed economici durante la transizione e dopo la cessazione definitiva del matrimonio.

A tal proposito Pillon è il promotore di un progetto di riforma del diritto di famiglia che ha come principale riferimento il ddl 735, meglio conosciuto come disegno di legge Pillon, e che, per la maldestra strutturazione e per l’estremismo delle posizioni assunte, si presenta più come un manifesto di intenzioni che come un disegno di legge.

Criticato sin dalla sua prima formulazione per il taglio misogino e adultocentrico di molte norme sia dal mondo del diritto che da quello della psicologia, ma soprattutto dalle associazioni contro la violenza sulle donne, il ddl 735 verte su due temi fondamentali: la mediazione familiare di cui ho già trattato nell’articolo Il manifesto di Pillon: la mediazione obbligatoria e la bigenitorialità perfetta di cui mi occuperò adesso. Entrambi i temi si intrecciano poi con quello tanto controverso quando pericoloso della così detta Alienazione Parentale che le riforme suggerite dal ddl hanno l’obbiettivo di contrastare.

Ma parliamo della Bigenitorialità perfetta.

La storia narra che il re Salomone quando fu consultato da due donne che si contendevano lo stesso bambino propose di tagliarlo a metà.

Ecco. È esattamente quello che si propone di fare questo disegno di legge. Solo che invece di farlo con il corpo del minore lo fa con la sua vita.

Parafrasando quanto detto da Pillon non si può sacrificare un genitore per l’habitat del minore.

Coerentemente con questa idea è stato previsto che il minore trascorra non meno di 12 giorni al mese, compresi i pernottamenti, con entrambi i genitori.

Questo comporterebbe che ciascun genitore sostenga le spese di mantenimento nei rispettivi periodi di permanenza presso di sé del figlio. Ergo il venir meno del temutissimo assegno di mantenimento per i minori che attualmente viene corrisposto dall’ex coniuge economicamente più forte al genitore collocatario.

Il mantenimento diventerebbe diretto e le spese, sia ordinarie che straordinarie, sarebbero ripartite in appositi capitoli all’interno di un dettagliatissimo piano genitoriale redatto a pagamento durante la mediazione obbligatoria.

Chiaramente la legge prevede l’ipotesi in cui uno dei due ex-coniugi non abbia la possibilità di sostenere in proprio le spese e in questo caso il genitore più ricco contribuirà alle spese vive o al pagamento previa presentazione di fattura.

Altro punto interessante riguarda la casa familiare.

Nel sistema dell’affido condiviso viene assegnata al genitore collocatario per permettere al minore di avere la stabilità che si dovrebbe garantire anche in situazioni di grande sconvolgimento come può essere il divorzio.

Secondo il ddl Pillon, essendo il figlio nomade non è necessario identificare un genitore collocatario.

Quindi al centro viene posto il diritto di proprietà della casa stessa: il coniuge comproprietario che resterà in casa sarà tenuto a corrispondere un indennizzo pari al canone di locazione sulla base dei prezzi di mercato.

Secondo questa impostazione non potrebbe invece «continuare a risiedere nella casa familiare il genitore che non ne sia proprietario o titolare di specifico diritto di usufrutto, uso, abitazione, comodato o locazione e che non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio».

Andiamo a dare qualche spunto di riflessione.

Per quanto riguarda l’aspetto economico.

Il ddl Pillon demonizza qualsiasi forma di sostegno economico all’ex coniuge più debole. Anche se si tratta dei minori, vi è l’ossessione di non far arrivare in mano all’altro genitore nemmeno un euro in più del dovuto, pretendendo una rendicontazione dettagliata nel caso in cui uno dei due non sia in grado di garantire al minore lo stesso tenore di vita che aveva prima della separazione.

Sicuramente si sono verificate nel tempo delle storture nel nostro sistema che hanno portato alla disperazione alcuni padri di famiglia ridotti a vivere di espedienti o quasi in quanto costretti a corrispondere il mantenimento a moglie e figli perché potessero conservare lo stesso tenore di vita precedente.

Si sa una separazione o un divorzio non hanno mai arricchito nessuno, ma un’ingiustizia è un’ingiustizia e su questo non si discute.

Un intervento per riequilibrare un po’ le cose andava fatto.

Se non è stato fatto a norma di legge, sicuramente la giurisprudenza si è presa cura di questo problema.

Precisamente nel 2017 c’è stata una sentenza della Corte di Cassazione che ha segnato il superamento dell’orientamento che collegava la misura dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge debole al parametro del tenore di vita matrimoniale.

Da quel momento in poi il nuovo orientamento ha tenuto conto della capacità del coniuge economicamente più debole di procurarsi un reddito.

L’assegno di mantenimento per il coniuge non è più una certezza, ma è diventato una possibilità e nella sua eventuale quantificazione viene computato anche quanto il beneficiario già possiede o è in grado di procurarsi in base all’età, capacità lavorativa o formazione.

Quindi anche l’importo eventualmente dovuto sarà ridotto. Attualmente per ottenere l’assegno di mantenimento è necessario provare di essere nella impossibilità di mantenersi con il nuovo lavoro o nel caso di età avanzata dimostrare di essersi sempre dedicati alla famiglia per scelta concordata con il coniuge. Qualcosa andava smosso ed è  stato smosso.

Invece questo ddl procede ad una equiparazione astratta dei genitori volutamente ignorando il fatto che esistono delle disparità di genere: a partire dal gap salariale ma anche considerando il fatto che molte donne perdono o lasciano il lavoro dopo la maternità. In tale situazione, a differenza del padre, difficilmente una madre lavoratrice riuscirà a garantire al minore lo stesso tenore di vita che aveva durante la convivenza, con il rischio anche di perdere l’affidamento.

La bi-genitorialità, così come concepita in questo ddl, si trasforma in un nuovo principio a vantaggio dell’adulto economicamente più forte.

, per voler approfondire la tematica del confronto tra diritto genitoriale e diritto del minore, basterebbe dire che da parecchi psicologi questa legge è mal vista.

Si è chiaramente spostato il focus della attenzione, dalla tutela della stabilità del minore alla tutela della genitorialità dei padri che vengono dipinti come vittime sacrificali.

Senza volersi perdere nei dati Istat, che sono comunque reperibili da internet, possiamo sinteticamente dire che fino al 2005 l’affidamento esclusivo alla madre rappresentava la forma nettamente prevalente. Tuttavia, nel 2006 con la legge n.54 si è stabilito l’affidamento condiviso come principio generale e da quel momento  si è decisamente invertita la tendenza, fino ad arrivare al 2015 in cui le separazioni con figli in affido condiviso risultavano essere circa l’89 per cento contro l’8,9 per cento di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre.

Quindi, a livello di legge, si è già affermato con forza il diritto alla genitorialità anche del padre che può e deve fare parte della vita del figlio con un suo contributo insostituibile. Il tutto però nel rispetto della esigenza del minore di ridurre il più possibile lo stress emotivo lasciandolo vivere in un unico “nido”.

Per spezzare una lancia a favore della riforma proposta da Pillon occorre ammettere che nei fatti può accadere che i figli vengano strumentalizzati ai fini di rivalsa o perfino di ricatto verso l’ex-partner da parte del genitore collocatario, che di solito è la madre.

I confini tracciati in termini di incontri sono troppo netti e sarebbe necessario approcciare la materia con una maggiore sensibilità nei confronti di tali distorsioni della lettera della legge e che sicuramente non fanno l’interesse del minore.

In questo senso è giusto favorire il ricorso alla mediazione familiare, suggerita e non obbligatoria, possibilmente a titolo gratuito, per raggiungere un nuovo equilibrio e garantire al figlio una famiglia diversamente organizzata, ma comunque funzionante.

Con questo disegno di legge si va ben oltre. Si afferma con forza una visione adultocentrica. Il bambino è trasformato da soggetto di diritto in oggetto.

Tale tipo di impostazione è stato condannato dal Cismai (Coordinamento italiano per i servizi maltrattamento all’infanzia) che ha affermato «la divisione a metà del tempo e la doppia residenza dei figli ledono fortemente il diritto dei minori alla stabilità, alla continuità e alla protezione, per quanto possibile, dalle scissioni e dalle lacerazioni che inevitabilmente le separazioni portano nella vita delle famiglie».

Si scandisce la vita del minore con un progetto rigido, dove ogni cambiamento va ridiscusso e siglato. Mentre ciò di cui il minore ha bisogno è elasticità e flessibilità nella gestione, e questo è ribadito anche a livello internazionale.

Per non parlare dei compiti genitoriali. Il disegno di legge Pillon si propone di rendere il ruolo di madre e padre intercambiabili scandendo una divisione in termini di tempo. I genitori non sono più chiamati a coordinare le proprie forze, ma ognuno è investito di una responsabilità individuale.

Eppure sono due ruoli che vanno considerati complementari, non equivalenti.

Anche in questo caso la Corte di Cassazione è intervenuta il 10 dicembre del 2018 assumendo una posizione implicitamente contraria a quanto sostenuto da Pillon.

Interpellata in una situazione di grande conflittualità dal padre che si opponeva alla sentenza di affido prevalente alla madre e chiedeva di trascorrere lo stesso numero di giorni con il minore la Corte ha respinto la richiesta adducendo questa motivazione «Va ricordato che il principio di bigenitorialità si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse, ma ciò non comporta l’applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore, in quanto l’esercizio del diritto deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore».

Pillon con il concetto della “bigenitorialità perfetta” si pone come paladino di padri di famiglia arrabbiati contro le donne rappresentate come elementi iperprotetti e pretenziosi. Draghi da sconfiggere per riappropriarsi dei tesori che sono loro dovuti: i figli.

Sicuramente questa favola si confà molto bene all’ottica leghista, ma è più adatta ad una forza che sta all’opposizione piuttosto che a chi comanda.

Qualcuno dovrebbe ricordare alla Lega e in generale a chi è al governo che non può farsi portatore di un solo punto di vista, alterato e distorto per di più, ma che dovrebbe tutelare tutte le parti in gioco.

Senza dimenticare di correggere le storture che ancora ci sono, ma non negando la realtà fattuale per perseguire uno scopo di parte. Non per abbattere e ricostruire più in piccolo e più in basso, ma per accrescere e migliorare il palazzo del diritto di famiglia che negli anni si è faticosamente costruito e assestato.


3 COMMENTI

  1. L’opposizione al DDL Pillon senza nemmeno discuterlo ha un unico mezzo possibile di attuazione: la richiesta di un referendum abrogativo dopo la sua approvazione in Parlamento. E l’approvazione popolare.
    Ne vedremo della belle.

  2. Il DDL Pillon, con tutte le modifiche migliorative che anche le opposizioni hanno elaborato, verrà approvato dal Parlamento.
    Dopo, ai contrari alla bigenitorialità non resterà che tentare la via del referendum abrogativo.
    Ne vedremo delle belle.

  3. Non saprei. Voleva essere un messaggio. Provocatorio ed esasperato come molte cose della lega ultimamente. Con parecchie modifiche potrebbe anche passare, ma così com’è non penso possa passare. Al momento è ancora in fase embrionale. Ho paura a dirlo, ma vedremo.

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