Uno spazio che favorisca il benessere delle persone, avendo cura delle peculiarità di ogni tappa evolutiva. Questo è l’obiettivo de ”Il Gomitolo”, il progetto di integrazione sociale promosso dalle dottoresse Sara Larosa e Doriana Lamorte, il filo che tesse i legami dell’individuo fin dall’età infantile, supportandolo psicologicamente ed offrendo ai diversamente abili strumenti pratici per migliorare la propria indipendenza nella quotidianità
Perché è importante l’intervento precoce in ambito psicologico?
Dal punto di vista clinico vi è grande interesse a incrementare le capacità di diagnosi e intervento riguardanti le difficoltà di sviluppo fin dalle più precoci fasi della maturazione, per favorire anche la cosiddetta prevenzione primaria, puntando sulla qualità dell’ambiente di crescita il prima possibile. Inoltre, contrariamente a quanto spesso si pensa, eventuali problemi che si possono evidenziare durante l’infanzia non sono sempre momentanei e destinati a risolversi spontaneamente. Diversi studi hanno dimostrato infatti che vi possono essere dei precursori di difficoltà nello sviluppo presenti fin dalla prima infanzia e che la prevalenza di problemi di salute mentale nei bambini fra i 2 e i 5 anni è pari a quella che si presenta alle età successive (Szaniecki, Barnes, 2016). Di conseguenza, occorre concentrarsi non solo sul bambino, ma anche sul suo ambiente, per capire quali caratteristiche di quest’ultimo possano favorire un buon adattamento reciproco o interferire sullo sviluppo. Inoltre, l’identificazione precoce rappresenta una sfida importante poiché apre delle possibilità di presa a carico ad un’età dove alcuni processi di sviluppo possono ancora venire modificati. Quest’ultimo permetterebbe di:
- Ridurre gli effetti e conseguenze dei deficit del bambino nel suo ambiente generale, grazie a misure di adattamento e compensazione all’ambiente;
- Ottimizzare, nei limiti del possibile, lo sviluppo di tutte le aree del minore.
- Evitare o minimizzare gli effetti secondari di una situazione di rischio o un disordine.
- Seguire le necessità della famiglia e fornirgli informazioni, così come fomentare le capacità e competenze della stessa di fronte allo sviluppo del bambino.
- Pianificare azioni di intervento per coordinare i differenti ambiti (sociale, educativo, familiare e personale).
- Ridurre il rischio di insuccesso che il bambino potrebbe sperimentare quando non conosce mezzi e capacità utili a fronteggiare determinati ostacoli.
Come si accompagnano, in un percorso scolastico, i giovani studenti con DSA?
I DISTURBI SPECIFICI DELL’ APPRENDIMENTO (DSA) fanno parte dei DISORDINI EVOLUTIVI (DSM 5).
Indicano un’alterazione di una particolare funzione cognitiva e interessano domini specifici. Sono associati a sintomi di sofferenza psicologica e a problematiche di adattamento al contesto. Quando lavoriamo con i ragazzi che hanno ricevuto diagnosi di DSA, occorre tener presente che, sovente, a tali difficoltà si associano altre problematiche, concernenti soprattutto l’ambito emotivo-motivazionale (la curiosità e la voglia di imparare si riducono, calano l’autostima e il senso di autoefficacia, vi è il rischio di abbandono scolastico, di sviluppare sintomi internalizzanti, isolamento e chiusura sociale).
Perciò, oltre a lavorare sull’aspetto propriamente clinico, occorre potenziare quello emotivo-motivazionale attraverso l’accoglienza e l’ascolto. Solo riconoscendo i bisogni del singolo, supportando le abilità relazionali, l’empatia e la capacità di e autoregolazione è possibile favorire la loro crescita in un clima relazionale sereno, capace di valorizzare le loro potenzialità attraverso la conoscenza e lo studio di metodologie didattico-pedagogiche efficaci. Nonostante risulti importante aiutare la persona a conoscere le proprie difficoltà, il nostro focus deve essere centrato sui punti di forza.
Ecco perché è fondamentale lavorare in sinergia con la scuola e con la famiglia al fine di costruire perfettamente il percorso adatto ad ogni bambino. In modo particolare, è necessario offrire alla famiglia anche spazi di confronto e riflessione circa il loro ruolo educativo, mettendoli in condizione di individuare le migliori strategie educative. D’altro canto, alla scuola viene chiesta un’attenzione costante al fine di promuovere al meglio le risorse dell’alunno.
Al fine di supportare i ragazzi in toto, nasce il TUTORING SCOLASTICO: un servizio di affiancamento dell’apprendimento finalizzato a favorire l’individuazione e l’acquisizione del proprio metodo di studio. Tra le parole chiave che descrivono il servizio: AUTONOMIA, METODO PERSONALIZZATO, PERSONALE QUALIFICATO, RELAZIONI, RETE. Lo studente, lavorando sui propri punti di forza e di debolezza, verrà guidato nell’utilizzo di strategie che lo renderanno sempre più autonomo nello studio e nello svolgimento dei compiti. Inoltre, sarà in grado di lavorare sugli aspetti emotivi e relazionali in un ambiente controllato, dedicato a ragazzi con e senza difficoltà, che favorisce dialogo e confronto.
Come si potrebbe aiutare la famiglia a fronteggiare le difficoltà del bambino?
Uno degli interventi in grado di supportare non solo il bambino ma anche tutta la famiglia è il PARENT TRAINING. “Il parent training è una tecnica di intervento che ha lo scopo di insegnare ai genitori quelle abilità necessarie per contrastare situazioni familiari problematiche” (Vio, Marzocchi, Offredi, 1999).
Letteralmente parent training vuol dire “allenamento genitore”, un’espressione che fa riferimento al potenziamento delle abilità genitoriali nel rapporto con i figli. In pratica, il parent training prevede la formazione di competenze educative nei genitori, quelle competenze specifiche che permettono di ridurre i comportamenti problema del bambino in casa. Ciò porta a un miglioramento nell’autopercezione di competenza da parte dei genitori e una riduzione dei livelli di stress in famiglia.
In particolare, il parent training è nato per le famiglie con bambini con un Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività ma ad oggi sono stati dimostrati i suoi benefici anche in quelle situazioni familiari in cui è assente una diagnosi di ADHD del figlio, ma vi sono comunque difficoltà comportamentali.
Il parent training, quindi, permette ai genitori di applicare essi stessi delle tecniche psicologiche in quelle situazioni in cui il bambino manifesta i comportamenti problema, favorendo così il proprio benessere e quello del bambino.
Che ruolo assume, secondo te Doriana, la famiglia nella socialità del bambino e della persona affetta da disabilità?
La famiglia è una componente essenziale ed insostituibile nell’educazione dei propri figli. Le ricerche in letteratura hanno mostrato come, sin dai primi scambi relazionali, il ruolo del caregiver sia fondamentale per sostenere lo sviluppo fisico, emotivo relazionale e cognitivo del bambino.
È importante, tuttavia, che il genitore riesca a riconoscere e interpretare correttamente i segnali del bambino, aspetto che assume una complessità ulteriore in presenza di diagnosi di disabilità del proprio figlio.
Sin dalla fase di comunicazione della diagnosi, la famiglia è travolta da un turbinio di emozioni, dubbi e timori legati sia ad una frattura nel sistema di rappresentazioni e aspettative relative al proprio ruolo genitoriale, sia alla relazione con il bambino e alla progettazione del futuro (Coppola, Costantini, Marvin, 2015). Per tali ragioni, è necessario che la famiglia lavori in sinergia con figure professionali specializzate al fine di ridurre il rischio che tale disorientamento possa interferire con la costruzione di un equilibrato rapporto affettivo con il bambino e aumentare, di conseguenza, la probabilità che intraprenda percorsi evolutivi di tipo disadattivo, riducendo gli scambi sociali sino ad un vero e proprio isolamento (Awsumb, Schutz, Carter, Schwartzman, Burgess, Lounds Taylor, 2022). Al contrario, un ruolo fondamentale è ricoperto dalla rete sociale nella misura in cui questa concepisca la disabilità come parte stessa della società, non relegandola ai margini o offrendo esperienze di inclusione illusoria ma offrendo l’opportunità di essere cittadini a tutti gli effetti e dunque operando la rimozione di barriere, psicologiche e sociali, che impediscono una reale inclusione della persona con disabilità.
La famiglia, dunque, è una grande risorsa chiamata a sostenere e incoraggiare il proprio figlio nel suo percorso di crescita sino all’acquisizione delle autonomie che gli consentiranno di inserirsi all’interno della realtà sociale e di essere parte attiva della propria vita.
Sarebbe possibile insegnare ai diversamente abili l’attitudine a barcamenarsi nel quotidiano con gesti pratici?
Assolutamente sì.
Già a partire dagli inizi del ‘900, si è cercato di individuare strategie che facilitassero l’apprendimento e lo svolgimento di attività della vita quotidiana anche quando la presenza di disabilità di varia natura avesse potuto ostacolare il raggiungimento di tale obiettivo. Attraverso la Terapia Occupazionale, trattamento medico-riabilitativo ed educativo, si intende consentire il raggiungimento della massima autonomia possibile nelle attività in cui la persona è quotidianamente coinvolta. Si pensi alla cura della propria persona e degli ambienti di vita, al fare la spesa, cucinare, lavorare, praticare sport, leggere o studiare e all’organizzare la propria giornata. L’intervento di Terapia Occupazionale oltre a ridurre la dipendenza dagli altri, migliora la percezione di sé e delle competenze relazionali e sociali, apportando miglioramenti alla propria qualità di vita.
Essa prevede la scelta e la personalizzazione di ausili e attrezzature specifiche, come le Assistive Technology (Lancioni, Singh, O’Reilly, Sigafoos, Alberti, Boccasini, Civita, Tedone, La Martire &Trubia, 2015), che supportino la persona nello svolgimento delle proprie attività.
In linea con il concetto di disabilità intesa non come condizione a sé stante ma come strettamente interconnessa a fattori sociali e ambientali che di fatto costituiscono la principale fonte di ostacolo, è possibile dunque apportare modificazioni all’ambiente di vita favorendo una migliore inclusione sociale, familiare e lavorativa della persona con disabilità.
Molte realtà territoriali, anche di tipo associativo, hanno fatto di tale aspetto la mission del proprio operato.
Perché avete scelto il gomitolo come simbolo del vostro progetto?
Il gomitolo per noi assume una duplice accezione: in primo luogo, diviene simbolo della mente umana, straordinariamente complessa e articolata. Il filo di cui si compone costituisce l’elemento essenziale da cui partire per tentare di comprendere tale complessità e darne ordine e senso. Un senso che spesso ci sfugge, appare oscuro, ma che si cela nei nostri comportamenti e nelle nostre motivazioni. Così come è possibile districare i nodi di un filo di lana ingarbugliato, allo stesso modo possiamo permettere ai nostri pensieri di esprimersi, di trovare una direzione più lineare e chiara.
In secondo luogo, il gomitolo è metafora di legami, relazioni e rete. Attraverso il nostro progetto, intendiamo costruire una rete di collaborazioni, che coinvolga figure professionali con la nostra stessa formazione e non solo. Siamo convinte che la costruzione di una rete più ampia possa apportare benefici al nostro territorio in tema di benessere psicologico.
BIBLIOGRAFIA:
Coppola G. Costantini A., Marvin (2015). Reaction to Diagnosis, ovvero l’impatto traumatico della diagnosi delminore sul genitore. In F. Lambruschi e F. Leonetti (a cura di). Strumenti di valutazione e interventi a sostegno della genitorialità, pp. 74-94. Editore Carocci. ISBN: 978-88-430-7942-1. Composto da numero pagine: 21.
Awsumb, J., Schutz, M., Carter, E., Schwartzman, B., Burgess, L., &Lounds Taylor, J. (2022). PursuingPaidEmployment for Youth with Severe Disabilities: Multiple Perspectives on Pressing Challenges. Research and Practice for Persons with Severe Disabilities, 47(1), 22-39. https://doi.org/10.1177/15407969221075629
Lancioni, G. E., Singh, N. N., O’Reilly, M. F., Sigafoos, J., Alberti, G., Boccasini, A., Civita, L., Tedone, R., La Martire, M. L., &Trubia, G. (2015). Assistivetechnology to supportoccupational engagement and mobility in persons with multiple disabilities. Life Span and Disability, 18(1), 119-139.