
“Lasciami andare”, un film del 2020 diretto da Stefano Mordini
Trasposizione cinematografica del romanzo “Sei tornato” di Christopher Coake, “Lasciami andare” è un film del 2020 diretto da Stefano Mordini, adattamento per il grande schermo di un racconto che abbraccia mistero e drammaticità, nuances gialle che fanno da contorno al paranormale, un appiglio di speranza, un gancio nel cielo di una discendente immortalità, l’amore agapico che lega per sempre un figlio ai propri genitori.
Padre e Madre, Stefano Accorsi e Maya Sansa, vite distrutte e divelte dal dolore lancinante di un bimbo gettatosi giù per le scale, gradini sporgenti che, come nell’opera pittorica di Escher, diventano paure concentriche, è l’eterno ritorno nietzschiano che trova la sua epifania in un’immagine riflessa sulla parete di una casa in una Venezia annacquata, affogata nelle malinconiche calli di gondole inermi e fluttuanti. L’interpretazione di Accorsi è destrutturata ma importante, specchio di fragilità che non riesce a condividere con la sua seconda compagna, Serena Rossi, da cui aspetta un altro bambino.
“Lasciami andare” è l’antidoto alle paturnie terrestri, è la cieca ubbidienza a logiche sacrali che contemplano l’aldilà, non più inteso come Paradiso dovuto ma come Purgatorio limbico cerebrale e dantesco dentro il quale essere intrappolati, incatenati ad una relazione che vive solo nel ricordo di chi resta, di chi soffre, di chi si affida. Che sia Dio o gli occhi angelici di Valeria Golino poco conta, ciò che è veramente fondamentale è l’individuazione di un vitello d’oro da adorare, un’abitazione da riacquistare al pari della perduta felicità.
Ingannevole e accattivante allo stesso tempo, “Lasciami andare” segna l’incapacità di mettersi tutto alle spalle, è la pietà che non cede al rancore, citando il grande De Andrè.
La pellicola ha la straordinaria peculiarità di rallentare incalzando gli eventi, trascina lo spettatore in situazioni nelle quali si sente a proprio agio, disturbato in modo sottile da un rumore di fondo, il sordo tonfo di un’infanzia accidentalmente interrotta, tastando pericolose finalità, lucrosi secondi fini che accarezzano l’anima a mo’ di diavolo, morbide nefandezze di un orsacchiotto che rammenta il senso di colpa.
“Lasciami andare” scorre piacevolmente conducendo tutti ad un epilogo aperto ed incerto, regalando a ciascuno le chiavi di un cuore mai spento, la luce riflessa di chi ha la fede per continuare a credere.