L’Ultimo Padrino
Diretto da Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, “IDDU – L’Ultimo Padrino” (presentato a Venezia 81) rilegge, in una chiave diversa, la latitanza di Matteo Messina Denaro, soprannominato “U’ Pupu”, il burattino, terzogenito del boss Gaetano.
Lì, “da qualche parte in Sicilia”, un padre insegna a sgozzare una capretta. Alla femminuccia non è concesso, il figlio maggiore non ha coraggio, così tocca al più piccolo portare avanti le redini di famiglia, dando vita a dinamiche criminali che, in questa pellicola, sono ben rappresentate dal talento recitativo di Elio Germano e Toni Servillo.
La corrispondenza epistolare fra Denaro e il preside Palumbo, di indubbia levatura verbale, contrasta con i dialoghi incompiuti degli altri personaggi, di quegli agenti dei Servizi Segreti che sembrano le caricature di se stessi, nel tentativo vano, forse, di offrire profondità ad un plot piatto ed inconsistente.
«La realtà non è la destinazione, è la partenza», questo è l’incipit che i registi utilizzano per venir fuori da un realismo vecchio e stantìo. Chi si aspetta movimento, resterà deluso. Nel film ad avere la meglio sono le focalizzazioni interne, quei flussi di coscienza che, spesso, si schiantano contro un muro, è il punto di vista surrealista che lascia spazio all’onirica leggenda di quello che sembra un fantasma, è la fascinazione della freddezza compiaciuta, l’indignazione che parte dall’imperativo morale per approdare in una terra che fatica a resuscitare, schiava di un passato che andava, probabilmente, raccontato meglio, ma che, di certo, non ci lascia indifferenti.