Joséphine, George, Sergio, Antonio, Etienne, Michel, Noemi, Amelia, Agata, Sara, Pablito, Juan, Richard, Pablito, Carlo, Julio, Francisca, Padre Michel, Lucy: sono loro i dieci protagonisti delle dieci storie scritte da don Salvatore Sciannamea nel suo ultimo lavoro editoriale dal titolo “I brevi racconti del cuore.Dall’emersione del desiderio alla sommersione della luce ”, un excursus fra debolezze e fragilità, scontri relazionali che dal nostro cuore arrivano al sentirci dono di Dio:

Ciao, Don Salvatore. Qual è la “ricetta morale” che è possibile scorgere dietro ognuno dei tuoi dieci brevi racconti?

Le ricette sono un invito a mettersi al fornello della vita, prendere gli ingredienti della propria umanità e fare il più bel menù unico ed irripetibile che nessuno potrebbe fare in quanto unico ed irripetibile. Le ricette sono dunque un invito ad attivarsi per gustare le tante occasioni che ci vengono offerte, mentre tanti vedono crisi, uscendo dalle proprie forme di confort. Ognuno non deve fermarsi alle ricette, altrimenti si scivola in uno sterile moralismo. Gli orientamenti sono fondamentali ma la creatività personale e l’imprinting è unico. Nessuno può essere sostituito, non siamo copie. Mi sento solo di indicare un percorso su cui riflettere, ma ogni cuore saprà cosa suggerire alla propria anima.

L’approccio empatico del lettore alla vita dei dieci protagonisti ci rende più propensi ad accogliere le nostre fragilità?

La mia esperienza dice che, più che le teorie, la gente ama ascoltare storie. Forse non è un caso che i libri più interessanti e amati sono narrazioni. È nella narrazione che si può cogliere senso e il significato di una visione del mondo, dei desideri nascosti nei meandri della coscienza, delle emozioni primarie e secondarie che ci avvolgono, ma anche di tutto ciò a cui non riusciamo a dare un nome. I personaggi di queste storie parlano, trasversalmente, all’umanità nella sua fattualità, gestualità, interiorità e spiritualità, con un linguaggio visivo, in un empatico rispecchiarsi tra narrazione e vissuto personale.

Cosa si intende per “termo-corazon”?

Oggi siamo abituati a misurare tutto. Ho pensato alla misura dell’amore che per Sant’Agostino è “amore senza misura”. Il simbolo del cuore universalmente parla di amore, dai bambini agli anziani. Il “termo-corazon” è dunque il termometro del cuore (corazon significa infatti cuore in spagnolo); da un lato rappresenta la voglia di misurare i sentimenti, da parte degli uomini, e dall’altro la necessità di un approccio all’incommensurabilità. Una provocazione al fatto che si misurino dettagliatamente gli andamenti delle borse, dell’astrazione dei numeri, senza saper valutare le oscillazioni dei sentimenti tra inflazione di desideri e deflazioni di affetti.

Dai comandamenti cristiani e biblici ai piccoli indiani di Agatha Christie, che valore simbolico assume il numero dieci?

Per Pitagora il dieci era il numero perfetto ad indicare il triangolo, simbolo di mistero. Per la Bibbia il dieci indica una totalità. Dieci sono le generazioni da Adamo a Noè e, successivamente, le generazioni da Noè ad Abramo. Non bisogna dimenticare, pensando alla Sacra Scrittura, che dieci sono le piaghe d’Egitto, per mezzo delle quali Israele sarà libero dalla schiavitù. Il numero dieci ritorna anche nel Nuovo Testamento quando Gesù incontra i dieci lebbrosi. Come numero indica la totalità, non omologante, che include le differenze. Ho voluto dieci storie perché vi si possano trovare riferimenti a generazioni, a scelte, a patti di amicizia, a orientamento nello smarrimento, nella semplicità della nostra vita e nella fatica della non sempre facile interpretazione degli eventi. Ma dieci sono anche le dita delle nostre mani. Mi auguro che, queste storie, possano essere come le dita di un artista che plasma, attraverso l’argilla, la sua opera d’arte; la possibilità quindi di riprendere a modellare il non finito, per dirla con Michelangelo, della scultura della nostra interiorità.

È giusto considerare l’interazione un dono di Dio?

Se inter-azione significa “Azione tra”, cristianamente non si può non pensare a Dio così, ma ancor più non si può pensare all’uomo divino, proprio per il fatto che Dio si è infangato con il nostro essere per regalarci l’oro della bellezza che non avrà fine. Ogni atto è interazione, anche la preghiera nel più sperduto eremo è interazione con l’uomo. Oggi c’è maggiore coscienza di ciò, si pensi ai nuovi approcci olistici tra mente e spirito, ad esempio. Un esempio splendido di interazione è la medicina con l’arte o con la musica. Esistono ormai filoni scientifici di musicoterapia e arteterapia, con altri interessanti tentativi con il cinema, che fanno risultati terapeutici di straordinario rilievo. L’interazione delle culture, ad esempio, è un dono perché nella differenza altrui si può comprendere la più profonda identità di se stessi e, più ancora, l’apporto unico ed irripetibile dell’altro. Interazione è dono di Dio per chi crede ma è dono per ogni uomo che desidera una più profonda umanizzazione. Vi è però un’altra faccia della medaglia. Se mettiamo dinanzi la paura, la desolazione, l’angoscia o l’indifferenza, l’interazione porta a risultati negativi. L’influenza reciproca allora esige modelli positivi. Ecco perché la cultura ha la responsabilità di indicare vie di salvezza, la spiritualità strade di redenzione e la scienza il meglio per un mondo più felice ed autenticamente sostenibile. Tali interazioni sono dono ma solo se mettiamo al centro ciò di cui abbiamo bisogno: l’amore. È l’amore che rende credibile l’umanità.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.