«Amami quando meno lo merito, perché sarà quando più ne avrò bisogno»
(Catullo)
C’è chi sostiene che ingoiando lacrime, si impara a sputare sorrisi.
Attenzione, attenzione a sentenziare e sciorinare aforismi per stare dietro alla psicologia motivazionale dell’epoca contemporanea: alla lunga, molte persone vengono sottoposte a carichi incredibili di responsabilità, sopportazione, tolleranza, soprusi ed abusi spesso neanche lontanamente evidenti e/o dimostrabili.
Sono situazioni molto simili alla discesa in una succursale dell’inferno che non brucia, ma schiaccia; e gran parte del peso capace di spostare pericolosamente le pareti contro le tempie di chi sente di subire, deriva da indiscutibili e personalissime reazioni a situazioni quotidianamente reiterate e giustificate da una convivenza sociale non necessariamente ortodossa.
Ci si può sentire dapprima osservati, poi inspiegabilmente defilati, fino a sentirsi totalmente annullati. Fuori, tutto sembra scorrere nella più assoluta normalità. Nove soggetti su dieci non percepiscono assolutamente nulla: il decimo soccombe.
E se tale soccombenza, in realtà, scaturisce in taluni casi dal pensiero arborescente che dimostra di essere un dono/maledizione, il quale non consente mai di accontentarsi della risposta più semplice, in altri è vissuta non già come umana e fisiologica fragilità, bensì come totale sconfitta e fallimento del sé, provocando così l’aggravarsi graduale, infido e costante di una condizione che sfocia nel buio, nella paura, nell’incapacità di reagire.
In altri termini: nell’immobilità.
E badate bene, l’immobilità invisibile di un essere umano che si sforza di procedere all’interno di un generico “come niente fosse” ha un volto pericolosissimo, non solo perché mette sull’orlo del precipizio quell’essere umano e tutto quanto a quell’essere umano è legato, ma perché quello schiacciante senso di impotenza non può fermare l’unico moto che, in taluni casi, sembra restare valido: il salto giù nel baratro. L’equivalente del: basta. E basta, a volte, vuol dire fine. E la fine di un essere umano, poi, è fin troppo facile da giudicare, spesso impossibile da colmare.
Orbene, andiamoci piano con quegli assiomi: ingoiare lacrime non è affatto sempre equivalente a sputare sorrisi. Farlo, al contrario, fa spesso venire a galla qualcosa di molto meno poetico. Quando ingoiando lacrime ci si ritrova all’improvviso portatori di bolo isterico, ovvero di quella sensazione di corpo estraneo che occupa gola e torace (più noto come “magone”), si smette di mangiare: le paure dei massimi sistemi che lì hanno portato, diventate paure pratiche, giornaliere, impediscono il soddisfacimento stesso dei bisogni primari, annientano.
Attenzione, dunque, attenzione alla faciloneria del pensiero, alla falsa credenza dell’invincibilità del forte, alla convinzione che tutto scorra e non lasci traccia: le persone sono importanti, molte di loro sono in pericolo e alcune di loro lo sanno, ma non hanno la forza di dirlo. Altre non se ne rendono neppure conto.
In nome di Dio, il mio, il tuo, quello dell’ateo e anche dell’agnostico, nel nome del Padre, nel nome della Madre, nel nome del Figlio, nel nome dell’Uomo e nel nome della Natura: apriamo gli occhi e non scappiamo dalla paura con l’idea che tanto poi ci si rialza, non è sempre vero.
Piuttosto proviamo a tirare fuori da quegli abissi chiunque ci sia caduto e soprattutto sforziamoci di accorgercene, ancora di più nei casi in cui ci sembra del tutto impossibile.
Padre Nostro,
che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome.
Sia fatta la tua volontà,
come in cielo, così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male.
Amen.