Il congresso di Più Europa e le identità federaliste indipendenti

Domenica 18 luglio si è concluso un delicato Congresso nazionale per Più Europa, il piccolo terzo polo politico di carisma liberale, libertario ed euro-federalista. Il Congresso ha rappresentato uno spazio in cui i più-europeisti hanno risolto alcune crisi interne degli scorsi mesi.

In realtà si è trattato di crisi che non riguardavano il programma o lo spirito delle istanze portate avanti negli ultimi tre anni. Nel 2018 la allora neonata Più Europa si è presentata alle elezioni politiche nazionali, facendo convergere in un progetto progressista comune buona parte del movimento dei Radicali Italiani con Emma Bonino, il soggetto politico Forza Europa di Benedetto Della Vedova e Centro Democratico di Bruno Tabacci. Nelle liste di Più Europa erano presenti anche esponenti del Partito Repubblicano Italiano e di altre realtà minoritarie.

Domenica 18 luglio la senatrice Bonino è ufficialmente rientrata tra i più-europeisti, dopo un periodo di riassestamento interno al “partito-movimento”. Al Congresso nazionale sono stati eletti Benedetto Della Vedova come segretario (riconfermando il suo ruolo prima della crisi che lo ha portato diversi mesi fa alle dimissioni), e l’onorevole Riccardo Magi come presidente di Più Europa.

Le battaglie che questo soggetto politico porta avanti sono basate sulla cura e l’evoluzione dello Stato di diritto, per una giustizia giusta, ed anche sulla legalizzazione dell’eutanasia, della cannabis, anzitutto a scopo terapeutico. La tutela delle minoranze etniche, dei diritti umani dei migranti e dell’ambiente, oltre che dei diritti civili, caratterizza la visione di un’Europa federale di libertà, pace ed uguaglianza liberale. In questo Più Europa ci ha creduto fin dal primo momento della sua nascita.

Fino a quando il Partito Democratico si appoggerà al magmatico Movimento grillino riformato, Più Europa tenderà  naturalmente  a prospettare un proprio panorama autonomo, anche sul piano elettorale; un panorama autonomo ma non autoreferenziale, bensì aperto alle identità liberali plurime e agli attivisti  liberalgreen.  Questa è la linea manifestata al Congresso di domenica 18 luglio. Tale linea si pone invero in continuità e coerenza con le scelte di non dare la fiducia ai governi Conte-1 e Conte-2. Più Europa ha sostenuto la presenza di una personalità tecnico-economica come il Presidente Draghi, e ha dato convintamente la propria fiducia all’attuale governo.

Oggi che la Lega sembra meno rigida verso gli europeisti e verso i liberal-garantisti, molti si potranno chiedere se serva ancora un piccolo partito-movimento chiamato Più Europa. In realtà basta guardare la vera natura delle scelte fatte dalle forze nate come sovraniste ed oggi unitesi al governo  dell’europeistissimo   Draghi. La Lega ha sicuramente attenuato i propri profili di radicalità sovranista, per poter divenire una forza sovrastrutturalizzata di governo, ma le ispirazioni poco progressiste permangono.

Più Europa quindi non vuol dire solo più Unione europea così come essa è oggi; ci sono delle distinzioni naturali che vengono tracciate dalla storia delle identità politiche, e occorre guardare ad esse per sapersi muovere in politica con le alleanze. I federalisti vogliono un’Unione europea che superi i limiti delle unanimità richieste in alcuni versanti decisionali. I federalisti non si accontentano nemmeno di ciò, vanno oltre. Vogliono gli Stati Uniti d’Europa.

Si chiami Più Europa, si chiami Volt, si chiami Movimento Federalista Europeo, si chiami con qualche nome peculiare all’interno delle minoranze del PD, o non si faccia ancora chiamare con un nome preciso, un movimento euro-federalista che voglia tracciare le differenze dall’attuale europeismo di comodo sposato da alcune forze politiche tradizionalmente euro-scettiche, deve manifestarsi e manifestare, chiaramente. A Roma come a Bruxelles, a Bari come a Torino, e in ogni altrove, occorre mettere in controluce l’Europa che è da quella che i federalisti vogliono.

Manifestare si deve, manifestare uniti: la sinistra non deve sentirsi “cosa” troppo diversa da questa corrente federalista ed internazionalista, se vuole guardare ad un futuro di pari opportunità in progresso, per tutte e tutti. Le proficue istanze di rinnovamento possono partire da piccoli poli, frammenti di un insieme plurale.

I piccoli poli politici, spesso avulsi da logiche di esteso potere partitocratico, possono meglio fornire chiavi di lettura del reale, critiche ed evolutive, per meditare-agendo. Meditare agendo, verso il progresso comune di tutti gli individui e di tutti i popoli, si può: si deve. Il PD potrebbe una volta tanto ascoltare di più le voci divergenti e minoritarie, anche quando a livello elettorale questo ascolto può risultare scomodo, o poco di massa elettorale.


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