Da Libera Martignetti, riceviamo e pubblichiamo:
Chi era Fulvio per me? Aiutatemi voi a trovare una risposta…
Ho cercato a lungo il termine giusto, il giusto nome, quando in questi giorni di dolore qualcuno mi chiedeva chi avessi perso.
Esiste un termine per descrivere o dare significato a tutto, ma quello che sei per me, Fulvio, io non l’ho ancora trovato, quindi, non potendo ora chiedere a lui, chiedo a voi aiuto in questa ricerca.
Provo a spiegarmi.
Non è un consanguineo, un fratello anche se ne aveva l’affetto.
È stata la colonna sonora della mia rinascita e da lì in poi ne ha fatto parte.
Al termine “Amico” oggi si attribuiscono significati riduttivi o esageratamente ampi, svuotati di quotidiana comunicazione e presenza.
In questi giorni c’è chi, sfiorato dalla sua esistenza, per un consiglio di lettura o fascinazione di scrittura o ancora colpiti dalle sue immancabili, sarcastiche recensioni sul quotidiano gusto popolare, vuole testimoniare alla famiglia amicizia.
Chi, imbattuto nella sua storia, incuriosito si affaccia al suo “profilo”, dispiaciuto di non averlo come amico.
Già, perché è davvero un peccato non averlo conosciuto, avrebbe intrecciato con ognuno un legame unico.
Fulvio si conosceva profondamente e rispettava se stesso, quello che era, sapendo di essere abbondante, ramificato, sapendo di avanzare, di avere tanto da seminare, e aveva il bisogno curioso di intessere con gli altri se stesso.
Ognuno di noi che lo abbiamo conosciuto e vissuto ha dentro un filo legato a Fulvio, nessuno uguale all’altro. Qualcuno più di un filo.
Gli artisti hanno un modo “promiscuo” di vivere, lasciatemi passare questo termine, in cui c’è tutta la bellezza della non unicità. Aprono cassetti e lasciano in giro pezzi di sé, lasciano incompiuti idee e progetti. Vedono sempre nuove possibilità, non si accontentano, aprono finestre e porte, ma non le forzano mai.
Fulvio era libero, gli artisti sono profondamente liberi, non lo dicono, lo sono. E si comportano da tali, nella loro essenza libera tracciano strade, aprono prospettive e possono cambiare le cose. Fulvio sceglieva ogni cosa poiché era libero, sceglieva il mezzo per andare a lavoro, la musica da vivere, le storie da leggere, quelle da scrivere, le persone da incontrare, quelle con cui stare, non copiava un pensiero, lo sceglieva. Poiché il destino non esiste, ma esistono le scelte, e lui aveva scelto di essere libero, di essere stesso.
In questa tragedia ognuno ha la responsabilità di aver fatto una scelta, di comodo, di omissione, di interesse, di lungaggine, di burocratica perdita di tempo e di possibilità, di continuare a vivere in una città poco incline al senso civico.
Fulvio entrava nella storia di chi lo incontrava, è entrato nella mia. Sapeva riconoscere il nocciolo profondo di ognuno.
Quando questo succede, chi ne ha avuto esperienza lo sa, accade che entrambe le persone coinvolte si modifichino nutrendosi a vicenda in un silenzioso e vicino scambio.
Succede che ora ci si senta orfani, che io mi senta orfana.
Ora, cosa posso rispondere a chi mi chiede “chi hai perso?”, come posso descrivere in una sola parola, con un solo termine chi è Fulvio per me?
“Amico” non rende affatto tutto questo,
“Amico” è troppo poco.
Datemi una mano voi, se ci riuscite.
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