
Conclusa questa esperienza, non potrò più definirmi “adolescente”…
10 giugno 2017.
Il mio ultimo giorno di scuola, l’ultimo della mia vita. Da domani non metterò più piede in questa struttura se non per sostenere i tanto temuti “esami di maturità”. Finiti anche questi, non potrò più dirmi “studentessa del liceo scientifico ‘Nuzzi’ di Andria”.
Conclusa questa esperienza, non potrò più definirmi “adolescente”.
L’ultimo giorno di scuola da liceale segna un cambiamento. È un punto di non ritorno, di svolta. Un punto di viraggio, direbbe il mio professore di scienze. Così come la fenolftaleina (e qui solo gli studenti del mio liceo capiranno) permette ad una soluzione di cambiare colore in base al suo pH, l’ultimo giorno di scuola superiore permette ai suoi studenti di cambiare i propri colori e quelli di tutto ciò che li circonda. Permette di guardare tutto sotto un’altra prospettiva, da un altro punto di vista.
Mi sento come una colomba che vuole spiccare il volo, ha fatto il primo salto e sta dispiegando le ali, ma non vola ancora né ha le zampe poggiate sulla terra. È, perciò, un momento di paura, di vuoto, di attaccamento alla vita. Alla vecchia vita, quella di sempre. Quella che ho vissuto fino ad oggi e che da domani mi sarà estranea.
Non potrò mai dimenticare quando, in terzo superiore, mi sforzavo di ascoltare Antonello Venditti e la sua “Notte prima degli esami” per tenermi preparata al fatidico giorno. Non potrò dimenticare la gioia che provavo nel pensare che prima o poi sarei diventata grande, avrei potuto finalmente fare quello che ho sempre desiderato e spiccare il volo respirando l’aria rarefatta delle mie altissime ambizioni.
Beh, adesso quel momento è arrivato e io ho paura. Voglio sentirmi ancora un po’ protetta, un po’ a casa, un po’ piccola.
Voglio ancora circondarmi del calore dei miei compagni di classe e degli insegnamenti dei miei professori.
Ora non riesco più ad ascoltare quella canzone che parla di noi maturandi: ne preferisco un’altra. Si chiama “Fotoricordo” ed è dei Gemelli Diversi. Sicuramente la conoscerai anche tu.
“Cerco su ogni volto un ricordo e sembra che il tempo non sia mai trascorso, e un brivido chiude lo stomaco. Rimango incredulo e so che le emozioni non muoiono mai”. Stamattina, per l’ultima volta tra quei banchi di scuola, ho guardato tutti i miei compagni di classe e ho portato alla mente qualche momento che abbiamo vissuto insieme. Sembrano ieri il nostro pranzo dei 100 giorni, le riprese del cortometraggio “Morsi”, la stesura del libro “Vip”, le lezioni di inglese che eravamo sicuri non finissero mai e la ricreazione in cortile che ci salvava dalla noia delle ore di lezione, l’amicizia con i collaboratori e i mille modi escogitati per convincerli a suonare la campanella in anticipo, l’ansia prima dei compiti in classe e la gioia o i pianti dopo le interrogazioni, l’emozione delle pagelle, il timore per i colloqui con i genitori, le gite, le assemblee di istituto che si concludevano sempre con tanta musica e divertimento, la palestra sempre aperta ad una partita di pallavolo clandestina.
Insomma, i ricordi sono davvero tanti e si affollano nella mia mente, così come tutte le persone che hanno vissuto con me questi cinque anni.
Abbiamo litigato facendo pace un minuto dopo, siamo stati uniti nel momento del bisogno, abbiamo condiviso tante “prime volte” ed esperienze, abbiamo pianto e gioito, ballato e cantato, urlato e perso la voce perché ci siamo sempre sentiti partecipi di questa realtà.
E se, come dice Gaber in una sua canzone, “libertà è partecipazione”, io mi sono sempre sentita libera. Libera di odiare questo posto tanto quanto lo abbia amato e di viverlo appieno. Mi sento libera di chiamarlo “casa” e di rimanere ancora tra questi banchi, con queste persone.
Il liceo è un luogo magico. Si entra adolescenti e si esce adulti, almeno si dovrebbe. In realtà, io sono tornata bambina e vorrei ripetere tutto da capo per sentirmi ancora parte di questa immensa famiglia.
Grazie, liceo!