Mia madre me lo dice sempre: “Nella vita non bisogna dire né “mai”, né “per sempre”.
Me lo dice perché non vuole che io ponga dei limiti, né di tempo, né di modo, a nessuna cosa. Mi ha insegnato come si cambia e per cambiare a volte si deve passare da momenti in cui ti sembra di essere sconfitto. E questo lei lo sa bene. Quello che so io è che quando fra le due ero io quella sconfitta, lei era lì. In silenzio o urlante, ma lì. Io, invece, per lei ho cominciato ad esserci (e non sempre) quando ho capito che cosa fa durante una giornata e cosa prova durante una vita. E anche allora non sempre ho avuto la forza o il coraggio(?) di fare ciò che dovevo per lei. Lo preannuncia ancora oggi mia nonna, madre anche lei, “va bene una mamma sola per 100 figli, ma non 100 figli per una mamma”.
E forse è un po’ vero, perché 100 me, non sarebbero all’altezza di una sola mia mamma. Ci sono molte, moltissime altre differenze fra me e lei, differenze dove lei sta sempre una spanna sopra. Io non so nemmeno come faccia. A volte mi chiedo “ma dove ha imparato?”, “Ma come lo sa?”, “Ma chi glielo ha detto?”. Forse, ho pensato, nel momento in cui metti al mondo una vita, si apre un file “cose che devi sapere per essere madre”, che fino a quel momento era archiviato, nella pancia. Si, nella pancia perché mia madre mi dice spesso anche questo “io quando ho partorito tuo fratello non avevo idea di cosa fare, ero così giovane, si può dire che io e lui siamo cresciuti insieme. Con te sapevo come cambiarti i pannolini, ma avete due caratteri così diversi che ho dovuto ricominciare da capo”, eppure non mi sembra abbia mai sbagliato.
E se è successo, non è mai stata sua intenzione. Una mamma, in un processo all’intenzione non perde mai. E se perde, si vede che quel file non si è aperto. Capita a volte, anche ai computer, figuriamoci a qualcosa di ben più complesso. È capitato anche che ci dicessimo le bugie. Io gliele dicevo non so nemmeno bene perché. Forse volevo sentirmi grande e tenere qualcosa per me. Ma alla fine non sono mai riuscita a nasconderle nulla. Infatti, quando quei segreti diventavano più grandi di me, mia madre arrivava e di scalpello li rimpiccioliva e poi mi faceva credere di aver fatto tutto da sola. Come se io continuassi a credere di mantenere il segreto, ma in realtà era lei a tenerlo nascosto a chi non lo avrebbe capito. I suoi segreti, invece, nascevano per nascondermi al dolore. Si faceva, e ancora oggi si fa, scudo alla nube tossica della sofferenza, mettendosi fra me e lei, anche se viene più volte colpita al posto mio, solo per farmi vivere nella felicità.
Una volta non mi ha detto che mio nonno, che vedo una volta all’anno, aveva inventato di me che ero una persona promiscua e inaffidabile, raccontandolo in giro. Voleva che continuassi a vederlo come il mio nonnone, perché ero così contenta che venisse a trovarmi. Le è costato molto mentirmi e per anni ha tenuto dentro questo segreto, solo per me.
Mia madre si sveglia la mattina e lava le scale, si sveglia un’ora prima per farlo, perché poi va a lavoro. Poi torna e fa le lavatrici, intanto mette il sugo sul fuoco. A volte, quando le gira, fa una ricetta nuova con quegli ingredienti che le piacciono tanto: lo zenzero (che sia maledetto), la curcuma, i chiodi di garofano, le bacche di Goji.
Poi se le avanza tempo guarda un po’ di tv, se no niente. L’unica cosa per cui trova sempre il tempo è leggere. Magari va a letto più tardi la sera per farlo.
Se non guarda la tv è perché deve fare qualcos’altro, tipo la spesa, o la posta, o l’assicurazione della macchina, o venire a prendere me. Spesso questo.
Dopo cena sparecchia, carica la lavastoviglie, si fa un bicchierino di acqua con lo zucchero per la notte da mettere sul comodino e poi va in bagno. Ci sta tanto perché deve curarsi. Così è sempre profumata e bella. Metterei la firma per essere come lei a 50 anni.
E forse lo sarò grazie a tutta quella rosa canina, a quel propoli e a quell’olio di fegato di merluzzo, pancea di tutti i mali, che mi ha propinato fino allo sfinimento.
Il suo asso nella manica forse è che le mamme sono state anche figlie e si ricordano. Però figlie in un altro tempo. Mia madre deve essere una filologa professionista, perché contestualizza con estrema prontezza a misura per me. E chissà se tutte le mamme sono così. E chissà se tutte le mamme, come la mia, si sono ripromesse di non essere come la loro, di mamma, e a fine giornata o a fine adolescenza si dicono “aveva ragione mammà”.
La mamma a volte riconosce i limiti, altre volte no. Vorrebbe chiederti del fidanzato, delle prime volte. A volte chiede, a volte dice, senza che tu, figlio, lo richieda. La mia mi ha sempre guardata pensando “Ma chi sono io per voler parlare di qualcosa che riguarda lei senza il suo permesso?”.
Certi figli imparano da questo che possono fare ciò che vogliono, certi altri che i loro genitori non sono interessati, io ho immaginato di essere troppo dispotica e di farle paura. Come se lei temesse una mia risposta brusca. Invece lei mi rispettava e basta, ma non mi ha fatto male pensare questo. L’ho imparato da grande però. Ho provato a praticare la gentilezza. E la mia mamma si è aperta come un fiore. Ha cominciato a sorridermi, ad abbracciarmi in mezzo al corridoio mentre passavo dalla cucina alla mia camera. Così, perché lo viveva come un regalo. Mi dicevo “per così poco?”. Si. Per così poco. La mia mamma si accontenta di questo.
Le mamme come la mia sono disposte a perdonare qualsiasi persona faccia loro del male, ma non perdonano chi fa del male ai loro figli. A meno che non sia tu stesso a chiederglielo. Lei si dà “un pizzico sulla pancia”, come dice lei, e fa ciò che le chiedi.
Il conflitto con mamma nasce quando ognuno vuole mantenere la propria posizione, quando un figlio vuole affermarsi e lo vuole fare scavalcando il ruolo di mamma. Ma questo le mamme lo sanno e il conflitto serve per tagliare il cordone ombelicale. Quindi le mamme soffrono due volte, per il conflitto e perché la figlia diventa grande e, le parole di mia mamma sono:”Prendi la tua strada e diventi figlia del mondo e quel mondo non sono più io”.
Ti voglio dire, mamma, che resti comunque il mio mondo. Quello cui aspiro, quello che cerco di costruire, quello che, quando disattende alle mie aspettative, si allontana da te.
Grazie per tutte quelle canzoni che mi hai dedicato.
Come quando ti sei servita di Baglioni e mi hai detto:“Avrai, avrai, avrai la stessa mia triste speranza e sentirai di non aver amato mai abbastanza”, quando mi hai insegnato con delicatezza dove potrei sbagliare; o di Cocciante e mi hai cantato:“Poi corriamo per le strade e mettiamoci a ballare, perché lei vuole la gioia, perché lei odia il rancore, e poi coi secchi di vernice coloriamo tutti i muri, case, vicoli e palazzi, perché lei ama i colori”, e mi hai detto che avresti fatto qualunque cosa per me; e quando, da Dolcenera, hai preso il soprannome che mi hai dato e hai iniziato a chiamarmi “Freccia nel futuro”.
E grazie anche a papà, che a mia mamma, ha sempre, silenziosamente, retto il gioco. E che, nonostante fosse quello più ansioso, più preoccupato, ha fatto la parte del poliziotto cattivo.