
All’origine del virus, cronologia di un contagio
Il nuovo anno non è iniziato nel migliore dei modi; era il 18 gennaio 2020 quando le autorità cinesi comunicano la morte di tre persone e la presenza di 139 nuovi casi di contagio da parte di un virus misterioso che causa i sintomi tipici di una polmonite. Il virus misterioso in realtà fa la sua prima comparsa a dicembre 2019 nella cittadina cinese di Wuhan. Il 31 dicembre 2019 le autorità cinesi informano l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) di una serie di casi di simil polmonite, la cui causa è però sconosciuta. Il 7 gennaio le autorità cinesi confermano di aver definito le caratteristiche del nuovo virus. Si tratta di un coronavirus a cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dato inizialmente il nome di 2019-n-CoV e classificato in seguito ufficialmente con il nome di SarsCoV2 (Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2). Il contagio, che sembrava ristretto alla città di Wuhan, da cui ha avuto origine l’epidemia, si espande anche al di fuori dei confini cinesi, fino a lambire praticamente ogni paese del globo. Il resto è storia recente: Pandemia (come dichiarato dall’OMS l’11 marzo 2020).
La Cina torna nuovamente sotto i riflettori per essere l’epicentro, dopo la SARS del 2003, di un nuovo contagio mondiale; ed è facile immaginare perché quando la Cina starnutisce il resto del mondo comincia a preoccuparsi. Il virus cinese arriva “ufficialmente” in Italia il 29 gennaio 2020 (ma è molto probabile che circolasse già da molte settimane prima), quando vengono riscontrati i primi due casi di persone contagiate da coronavirus; si tratta di due turisti cinesi con una grave malattia respiratoria ricoverati all’istituto Spallanzani di Roma, uno dei migliori presidi ospedalieri per la prevenzione, diagnosi e cura delle malattie infettive. Il 6 febbraio viene segnalato un nuovo caso a Roma: si tratta di un cittadino italiano rimpatriato da Wuhan. Dal 21 febbraio la situazione si aggrava anche in Italia, dove si registrano centinaia di casi positivi al virus SarsCoV2 con i focolai maggiori nel Lodigiano e in Veneto, in una escalation esponenziale di contagi che colpirà in maniera drammatica la Lombardia e via via tutte le altre regioni d’Italia.
Inizia così per l’Italia quella che diventerà una delle emergenze più devastanti dal dopoguerra ai nostri giorni. Ad oggi i contagiati in Italia sono 101.739 (attualmente 75.528 i positivi), 11.591 le vittime, anche se, come sottolinea la Protezione civile, questo dato potrà essere confermato solo dopo che l’Istituto Superiore di Sanità avrà stabilito la causa effettiva del decesso. A essere guariti sono in 14.620.
Quali sono le caratteristiche del virus di questa nuova emergenza sanitaria?
I coronavirus, scoperti negli anni ’60, sono definiti tali in quanto presentano sulla loro superficie esterna una serie di glicoproteine superficiali (chiamate spike) che danno un’immagine che ricorda una corona. Il genoma, materiale genetico, dei coronavirus è rappresentato da una molecola di RNA a singola elica, di dimensioni comprese tra le 26 e le 32 kilobasi, che codifica per 7 proteine virali.
Come tutti i virus, anche i coronavirus non possono riprodursi da soli ma solo grazie all’intermediazione di cellule ospiti, all’interno delle quali i virus veicolano il loro materiale genetico, sfruttando il macchinario di sintesi proteica dell’ospite che produrrà anche le proteine virali responsabili poi delle alterazioni funzionali e strutturali della cellula ospite stessa.
Come questo nuovo virus è arrivato a noi? Tra verità e fake news
Capita sempre più spesso di vedere manipolata, a volte con dolosa disinformazione, la verità verso il complottismo e le fake news. Gira in questi giorni sui vari canali social la teoria del complotto per cui il nuovo coronavirus sia stato generato in qualche laboratorio segreto e fatto “sfuggire”, per caso o per dolo, per provocare la disastrosa pandemia di cui siamo vittime. La teoria del complotto parte “dall’interpretazione” di un servizio del programma televisivo TG-Leonardo del 2015 in cui si parla di scienziati cinesi che creano, per scopi di ricerca, un super virus polmonare ottenuto da pipistrelli e topi. La notizia riprende una pubblicazione su una delle più prestigiose riviste scientifiche: “Nature”. In quella pubblicazione viene anche pubblicata la sequenza genica del virus creato in laboratorio, cioè la carta di identità, il codice a barre, del virus stesso.
Ci troviamo quindi di fronte ad un virus creato in laboratorio?
Basta interrogare la scienza per avere delle risposte serie e non pregiudizievoli. I risultati ottenuti da analisi genetiche, e pubblicate sulla rivista scientifica Nature Medicine, evidenziano che il coronavirus 2019 è un virus ricombinante tra il coronavirus del pipistrello ed un altro coronavirus di qualche altra specie animale (ancora sconosciuta) dove, ricombinandosi geneticamente, ha fatto il cosiddetto “salto di specie” (“spillover” in inglese) acquisendo la capacità di legare specifici recettori localizzati sulla cellula ospite del sistema respiratorio umano, infettandola. Gli studi sul genoma del virus hanno in pratica chiarito che questo nuovo coronavirus si è sviluppato in un mercato in Cina dove le diverse specie animali si contaminano perché si macellano animali di allevamento e quelli selvatici, come i pipistrelli, in una promiscuità pericolosa. E per buona pace dei vari complottisti e dei sapienti ignoranti che ipotizzano bizzarre teorie come causa delle epidemie, tra cui quella attuale di SarsCoV2, quali allevamenti intensivi, crisi ambientali, perdita di biodiversità, quello che la scienza ha documentato è che “le malattie infettive proliferano in contesti contraddistinti da scarse condizioni igienico-sanitarie, degrado socio-ambientale e sottosviluppo culturale”.
Questa particolare trasmissione da animale a uomo è tra l’altro una storia antica.
Pensiamo, per esempio, al morbillo evolutosi dalla peste bovina, alla pertosse da maiali e cani, alla peste originata da topi, conigli e lepri, o alle devastanti febbri emorragiche (come ad esempio l’ebola) proveniente da pipistrelli e scimmie.
E se prima i virus ci mettevano due anni per invadere il mondo, come per esempio l’influenza spagnola del 1920, oggi ci mettono 2 settimane. Diciamo che prima i patogeni si muovevano “a piedi”, oggi si muovono con aerei e alta velocità. Per un motivo semplice: i virus per vivere hanno bisogno di un ospite e l’uomo è uno di questi. E a seconda di come si muove l’uomo si muove anche il virus.
Quali sono i sintomi dopo il contagio?
Il sintomi compaiono dopo un periodo di incubazione che si stima variare fra 2 e 11 giorni, fino ad un massimo di 14 giorni. In questo contesto, è interessante ribadire come alcune persone si infettano ma non sviluppano alcun sintomo. Generalmente i sintomi sono lievi, soprattutto nei bambini e nei giovani adulti, e a inizio lento. Circa 1 su 5 persone con COVID-19, come è stata definita la patologia causata dal SarsCov2, si ammala invece gravemente, soprattutto persone anziane e/o con patologie debilitanti, e presentano difficoltà respiratorie in quanto fanno una polmonite, richiedendo il ricovero in ambiente ospedaliero.
Nella maggior parte dei casi le nostre prime linee di difesa eliminano l’invasore senza che neppure ce ne accorgiamo. Il nostro sistema immunitario, quindi, mette in atto strategie di attacco e armi diverse (anticorpi) per fronteggiare ogni tipo di patogeno. Se però un patogeno riesce a superare la resistenza iniziale del sistema immunitario, o perché il sistema immunitario è debilitato oppure non pronto a fronteggiare il “nuovo” invasore, può causare le gravi condizioni patologiche che sono state per esempio ascritte al coronavirus 2019.
Come ci si infetta?
La via primaria di infezione sono le goccioline del respiro delle persone infette ad esempio tramite la saliva, tossendo e starnutendo; attraverso contatti diretti personali; attraverso le mani, toccando per esempio con le mani contaminate bocca, naso o occhi. È importante perciò applicare rigorosamente misure di igiene personale quali starnutire o tossire in un fazzoletto o con il gomito flesso e gettare i fazzoletti utilizzati in un cestino chiuso immediatamente dopo l’uso e lavare le mani frequentemente con acqua e sapone o usando soluzioni alcoliche.
La cura
Sebbene il controllo finale delle infezioni virali richieda lo sviluppo di vaccini e/o farmaci antivirali efficaci e mirati, è possibile immaginare che i farmaci antivirali attualmente autorizzati potrebbero intanto essere testati per verificarne l’efficacia contro il coronavirus SarsCov2. Ed è quello che si sta facendo. Ovviamente lo sviluppo dei vaccini è l’arma più efficace, ma ad oggi non esiste alcun vaccino e per arrivare ad averne uno ci vogliono almeno 12-18 mesi. E’ importante in questo contesto ribadire l’importanza di sviluppare farmaci sicuri. Ad oggi tutti i tentativi fatti per sviluppare un vaccino sicuro contro virus ad RNA, hanno dovuto fare i conti con quello che viene definito come fenomeno o effetto paradosso. Questo fenomeno viene indicato come antibody-dependent enhancement (ADE) ed è connesso al rischio che un candidato vaccino induca non solo anticorpi neutralizzanti contro il virus, ma anche anticorpi che potenziano l’entrata del virus stesso nelle cellule. E’ pertanto necessaria una rigorosa ricerca di base e pre-clinica su modelli animali prima di traslare i risultati di efficacia e soprattutto di sicurezza di un potenziale vaccino sull’uomo. Inoltre, un altro problema legato allo sviluppo di un vaccino è legato alla proprietà dei virus ad RNA di mutare velocemente; di conseguenza le proteine virali sono soggette a continui cambiamenti e a causa di queste continue mutazioni diventa difficile impostare una profilassi vaccinale. Questo, per esempio è uno dei motivi principali per cui da oltre vent’anni non si è ancora trovato un vaccino contro il virus dell’HIV. Tuttavia, un recente studio pubblicato su Journal of Virology, suggerisce che nel virus SarsCoV2 ci siano alcune proteine che sembrano essere molto più stabili di altre e pertanto possono rappresentare dei target per lo sviluppo di vaccini. Servono però ulteriori studi per sviluppare terapie efficaci e sicure.
Il valore della ricerca scientifica
E proprio le preoccupanti vicende circa l’epidemia da coronavirus hanno fatto emergere quanto la ricerca scientifica sia fondamentale. Si chiede alla Scienza di essere “salvifica” e ci si dimentica spesso che la Scienza per fare quello che le si chiede ha bisogno di risorse, dei suoi metodi, dei suoi mezzi e dei suoi tempi e richiede onestà intellettuale e comportamenti non pregiudizievoli. Questo implica che per consentire alla Scienza di rispondere a queste sollecitazioni e a prevenirne altre, bisogna farsi portavoce delle necessità imprescindibili che il mondo scientifico della ricerca ha per mantenersi vitale, competitivo e al passo con le più moderne tecnologie. La sperimentazione animale rientra tra quei metodi e mezzi imprescindibili di cui la ricerca scientifica ha bisogno per arrivare a terapie comprovate e sicure. Solo una scienza rigorosa e una rigorosa regolamentazione possono assicurare lo sviluppo di terapie efficaci piuttosto che prodotti di mercato inefficaci e, allo stesso tempo, segna la netta distinzione tra la ricerca di nuove terapie e l’inganno verso i pazienti.
Come difenderci dal virus
Sembra incredibile, ma in assenza di specifici farmaci e terapie, ad oggi vengono messe in atto le antiche pratiche di quarantena che risalgono nel 1377 e imposte dalla repubblica veneziana. Ed è quello che è stato fatto in Cina, in Italia ed in altri paesi, anche se con ingiustificabili ritardi.
Serve anche effettuare una massiccia sorveglianza per individuare tutti i positivi; isolare, testare e trattare ogni caso per spezzare in modo efficace la catena di trasmissione delle infezioni.
E’ vero che di coronavirus si può morire, ma è altrettanto vero che dal coronavirus si guarisce se si interviene per tempo e con efficacia. Due elementi: Tempo ed efficacia che mancano ad un sistema sanitario messo al collasso non da un virus ma anche dalle scellerate scelte di una politica di tagli alla sanità perpetrata di anno in anno da ogni schieramento politico, chi più chi meno, che ha governato negli ultimi 30 anni. Il rischio è anche questo; quando si ha a che fare con piccoli numeri si ha tempo, energie e personale a sufficienza per impiegare tutto il tempo a disposizione per prendersi cura di tutte le persone. Quando il numero dei pazienti diventa elevato, il personale sanitario pur eroico non ce la fa a gestire questi numeri dell’emergenza.
Non è ovviamente questo il tempo delle polemiche, ma cominciamo veramente a chiederci su quali valori puntare (per esempio: ricerca scientifica, sanità, cultura) per rendere il paese sempre più pronto a sfide sempre più impegnative.
Gli effetti “collaterali” di questa epidemia e delle drastiche misure adottate dal Governo hanno riguardato anche il settore economico e finanziario del Paese a cui il Governo DEVE da subito trovare delle soluzioni per evitare, passata l’epidemia sanitaria, di vivere una epidemia di recessione finanziaria, che potrebbe essere ancora più pericolosa di quella sanitaria.
Serve quindi adottare sempre METODO E MERITO: due elementi che mancano spesso in molti cittadini e decisori, non solo ai tempi del coronavirus. E qui dobbiamo anche chiederci come mai siamo arrivati a questa limitazione della capacità critica. Il discorso sarebbe lungo e meriterebbe una discussione tra diversi soggetti; filosofi, politici, educatori, scienziati e cittadini. Molte persone preferiscono, forse perché hanno una sorta di bias cognitivo, la notizia “pret a porter” di più facile portata rispetto alla fatica di leggere e studiare tutte le fonti e provare a usare il metodo ed il pensiero razionale per una conoscenza non pregiudizievole. Si può sperare in un cambio di passo solo quando si comincerà a riconoscere la disuguaglianza di valore e di merito e a promuovere una politica delle buone pratiche che sappia riconoscere i giusti valori su cui puntare.
Come non essere d’accordo? La ricerca scientifica ha i suoi tempi e modalità, ma soprattutto ha bisogno del sostegno continuo da parte di tutti e non solo in momenti tragici come quello attuale quando le si chiede quasi magicamente la risoluzione del problema. Stiamo pagando a caro prezzo sulla nostra pelle la mancanza di politiche incentrate sul ruolo insostituibile della conoscenza come base delle scelte sanitarie e sociali, oltre al fatto importante che si dimentica spesso che la sperimentazione animale rimane ancora oggi la strada maestra per poter arrivare ad ottenere qualcosa di efficace nel campo delle discipline biomediche. Bene dunque rimettere al centro del dibattito tale questione e fare chiarezza; è pienamente condivisibile che a questo dibattito possano partecipare personalità appartenenti ai diversi ambiti per fornire al più largo pubblico informazioni corrette.
Caro Mario, hai evidenziato due temi fondamentali: il supporto e sostegno costante alla ricerca scientifica e la necessità di non bloccare, in modo pregiudizievole, la sperimentazione animale per arrivare a cure sicure ed efficaci. Come abbiamo avuto modo di discutere in altri articoli, la fotografia che emerge da una analisi oggettiva sullo stato della ricerca scientifica in Italia è abbastanza impietosa ed evidenzia una situazione drammatica di come i vari governi abbiano da sempre destinato scarse risorse verso un settore cruciale e determinante per il progresso culturale, tecnologico e sociale del Paese.
L’Italia inoltre è in forte ritardo, rispetto ai principali paesi industriali ed economie europee, alcune addirittura di minori dimensioni come quella svedese, nella realizzazione per esempio di una Agenzia della ricerca, un ente terzo che gestisca fondi pubblici in modo autonomo, trasparente e soprattutto su base rigidamente competitiva. L’Italia rappresenta quindi un fanalino di coda, della locomotiva Europa, verso uno dei settori strategici dell’economia di un paese, investendo meno di altri in Ricerca e Sviluppo: 1,33% del PIL contro una media europea pari a 2,03%.
Per quanto riguarda la sperimentazione animale ci si dimentica troppo spesso che la stessa ci ha portato (tra l’altro) metodi di trapianto, insulina, farmaci antipsicotici, antiepilettici, antiulcera, antiparkinson, ansiolitici, antirigetto, antipertensivi; terapie geniche; terapie cellulari; pacemaker, defibrillatori e apparati per dialisi e non per ultimo tutti i vaccini. Condivido il tuo auspicio che diverse personalità e soggetti lavorino insieme per fornire al più largo pubblico informazioni corrette ed evitare cortocircuiti comunicativi e legislativi.
“fa la sua prima comparsa a dicembre 2019 nella cittadina cinese di Wuhan”. Ohibò. Nel 2018 la “cittadina” di Wuhan contava 11,08 milioni di abitanti. Se fosse stata una “cittadina”, lei pensa che sarebbe successo tutto quello che poi è avvenuto? 🙂
Gentile Tito, lei pensa che il problema di questa pandemia sia la differenza tra il concetto di “città” e “cittadina”? Le ricordo per esempio che l’epidemia in Italia e in Europa è partita da UN SINGOLO paziente positivo al SarsCov2. In Italia, l’epidemia, ha avuto il suo iniziale focolaio in una città o cittadina molto più piccola di Wuhan e che a prescindere dalla dimensione delle città/cittadine o numero di abitanti, l’infezione da SarsCov2 ha lambito ogni paese del globo terrestre. Il virus purtroppo non fa distinzione tra città o cittadine; si sposta con il suo “ospite” infettato e a seconda di dove e come si muove l’ospite si muove anche il virus.
Gentile lettore,
è davvero raro che io intervenga in difesa di un autore di Odysseo, sia perché ritengo che non ne abbiano bisogno, sia perché credo fortemente nel libero dibattito. Nondimeno, che in un articolo che a me, umile scribacchino, pare così articolato, documentato, chiaro e di ampie vedute, lei riesca a soffermarsi esclusivamente sull’uso improprio del termine “cittadina”, mi lascia davvero basito e mi ricorda tanto quell’apologo in cui a Galileo che chiedeva: “Dimmi cosa vedi?” – e indicava le macchie lunari attraverso il suo telescopio – l’illustre interlocutore rispose: “Vedo che ha una macchia sul dito”. Cordialità.
Caro Antonio ti ribadisco la mia perfetta aderenza alle tue idee!! Parlo di idee perche’ le tue comprovate qualità scientifiche sono conosciute a tanti di noi che sono vicini per attività’ alla tua ricerca e didattica. Mi soffermo però sul tuo interesse a ribadire il concetto della disuguaglianza del sapere! Esattamente il contrario ad un appiattimento di valori e spesso di funzioni. Mai più tutti dottori, tutti laureati.. ad ognuno il suo titolo in base al sacrificio che ha fatto studiando e conoscendo! Grazie, amico. Pietro Lippa
Caro Pietro, riconoscere la disuguaglianza del sapere significa riconoscere la fatica dello studio e di esperienza che rende ogni “mestiere” funzionale al benessere sociale, culturale ed economico di una società e di un paese intero.
Come si dice: ad ognuno il suo, nella consapevolezza dei propri limiti.
Grazie per la stima.
Dai commenti al pezzo di Antonio dovremmo desumere che l’estensione territoriale del focolaio sia la principale causa della diffusione di una pandemia. Che sciocco – penso subito – davvero non sapevo che Codogno e Castiglione d’Adda fossero “megalopoli” come Los Angeles e Città del Messico. Non lo erano, dite? E allora lo saranno diventate per effetto della “carica virale”! E non mi risulta nemmeno che siano contigue alla provincia di Wuhan. Battute a parte, non appena torno in me mi chiedo se spesso non ci si potrebbe limitare a leggere e compiacersi dello scritto. Evidentemente no. Del resto, ognuno di noi è libero di esprimersi come meglio crede, per carità, e ci batteremo perché questo diritto sia sempre inalienabile. Molteplici pensieri si intrecciano, vorrei provare a dipanare la matassa. Per prima cosa, ci tengo a precisare che difficilmente qualcosa riesce a distogliermi dalle mie attività. Questo è uno di quei rari casi e lo faccio perché mi sembra che la situazione emergenziale in cui versiamo stia acuendo il male endemico della nostra civiltà: l’ignoranza. Una protervia ignoranza strutturale ci affligge e rende vani gli sforzi profusi da coloro i quali cercano di contrastarla. Molteplici sono le cause, detestabili gli effetti. Tutti parlano di tutto con scarsa conoscenza – ahinoi – di ciò che dicono. Sono sincero, mi fa sorridere sentire l’uomo della strada parlare di “R0” (i.e. il numero medio di persone contagiate da ogni soggetto infetto) quando non saprebbe neanche descrivere l’equazione di una retta. E ancora di più mi colpisce l’ostentata “securtade” con cui esilaranti affermazioni pseudo-scientifiche sono propugnate come verità ineluttabili. Basta fare una fila al supermercato per sentirne un vasto campionario: “Dice che…”. Ma chi lo dice? E su quali basi questo fantomatico individuo farebbe quest’affermazione? Se non fosse tragico, sarebbe comico. C’è veramente di che stupirsi? In realtà credo di no, va tutto secondo una logica stringente. Sappiamo bene di vivere in un paese in cui lo stesso soggetto è pienamente legittimato ad oscillare con leggerezza, novello Eraclito, tra apparentemente inconciliabili opposti. Del resto, se acclamati personaggi pubblici possono contraddirsi nello spazio di un momento senza perdere la propria credibilità, perché non dovremmo tollerare le peripezie dialettiche del cittadino quadratico medio? L’emergenza pandemica mi ha dato la possibilità di documentarmi sulla matematica delle epidemie, un’affascinante branca del sapere che non conoscevo minimamente. Al di là dei tecnicismi, abbiamo imparato che le misure restrittive – il “lockdown” per intenderci – sono l’unica strategia per modificare la progressione naturale dell’epidemia. Matematicamente parlando, le misure consentono al numero dei contagiati di abbandonare il tipico andamento a crescita esponenziale che si osserva proprio quando il nostro “R0″ è maggiore di 1. In questo modo il numero dei contagiati inizia a seguire un più mite profilo “a campana” il cui picco è tanto più basso quanto maggiore è l’efficacia delle restrizioni governative. Come sottolinea bene Antonio, il distanziamento sociale è da secoli l’unica vera strategia preventiva in attesa di efficienti tecnologie diagnostiche e di un vaccino che ci auguriamo sia disponibile prima possibile. Ringrazio Antonio per aver fatto chiarezza su questo punto. Detto ciò, la perplessità maggiore è un certo scollamento tra queste nozioni di base e la gestione delle restrizioni stesse. Siamo davvero certi che la pregressa situazione della provincia cinese non ci avrebbe dovuto portare a prendere decisioni diverse? Ho cercato di tergiversare, ma credo che, volenti e nolenti, si finisca sempre nella stessa “buca di potenziale”: l’ignoranza. Se, però, tollerarla nell’uomo della strada è cosa fattibile, diverso è il caso della classe dirigente. Siamo sempre più disillusi e scorati, ma sempre meno disposti ad accettare. Non è forse il tempo di restituire il nostro paese alla centralità della cultura, del sapere e della conoscenza? Non dovremmo uscire dal torpore, coordinarci e organizzarci per riconsegnare le posizioni decisionali nelle mani della vera élite del popolo italiano? Sarà forse mera utopia, ma tra gli ultimi baluardi mentali rimasti prima di gettare la spugna alberga in noi la convinzione che un uomo che “sa” potrebbe fare meglio di uno che “non sa”, di uno che “ignora” per l’appunto. E come una “mano invisibile” farebbe il bene proprio e della comunità che avrebbe l’onore di rappresentare. E ora me ne torno alle mie attività, ma non prima di ringraziare Antonio per avermi permesso di mettere a fuoco i pensieri che si affastellavano in me.
Caro Giulio, questa pandemia ha fatto emergere quanto sia importante la disuguaglianza di valore, di merito e di esperienza, cioè la fatica individuale necessaria per affrontare in maniera seria, competente e senza pregiudizi situazioni complesse. Mi auguro che ci possa essere quello “spillover culturale” che permetterebbe all’uomo la capacità di fronteggiare e risolvere crisi sanitarie, politiche ed economiche e pandemie di pericolosa ignoranza.