
Giovedì 14 dicembre 2017 è una data da ricordare per un paese civile…
Giovedì 14 dicembre è una data da ricordare per un paese civile, per un paese democratico, per un paese che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2 della Costituzione), che stabilisce che la libertà personale è inviolabile (art. 13 della Costituzione) e che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana (art. 32 della Costituzione).
Giovedì 14 dicembre 2017 è stata finalmente approvata in via definitiva la legge sulle disposizioni anticipate di trattamento e il consenso informato.
Prima di qualsiasi considerazione etica, politica, scientifica, sociale bisogna sgombrare il campo da errate interpretazioni: quella che è stata approvata NON è una legge sul suicidio assistito e NON è una legge sull’eutanasia.
La legge che si intitola “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari” sana sostanzialmente un’anomalia, tutta italiana, sul piano etico e legale. In realtà estende quanto sancito dalla nostra Costituzione nell’art. 32 comma 2 per cui un cittadino italiano maggiorenne e cosciente può rifiutare un trattamento medico, incluse alimentazione e idratazione artificiali. Rimaneva da chiarire se questo diritto rimaneva ancora valido o se venisse annullato nel momento in cui una persona, un cittadino perdesse coscienza.
La nuova legge è composta da 8 articoli e nell’articolo 3 stabilisce che “ogni persona maggiorenne, capace di intendere e volere, in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può, attraverso disposizioni anticipate di trattamento, esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali”.
Finalmente la nuova legge riconosce un diritto inalienabile dell’essere umano: l’autodeterminazione! Finalmente lo Stato riconosce quel diritto al cittadino, “devastato” non solo nella salute ma anche nella dignità di ESSERE UMANO, che spesso si trova solo con la sua impotenza di far valere le sue disposizioni, solo con la sua NON VITA, a fronteggiare chi fino ad oggi ha preferito non parlarne e abbandonarsi pigramente all’istinto o ad un miserabile “non è affar mio”.
Riconosciuto il diritto di ogni cittadino all’autodeterminazione e il valore etico di tale norma, bisogna però entrare in punta di piedi nel fare qualsiasi considerazione personale su questa legge, rispettando chi per amore della vita sceglie un “fine vita” dignitoso.
Nell’ultimo secolo i progressi della medicina e della scienza hanno permesso di capire la causa di tante malattie e di trovare rimedi per trattare in maniera efficiente uno stato patologico o in alcuni casi essere risolutivi per curare una patologia degenerativa. Si parla di 1.2 miliardi di vite umane salvate dai progressi della medicina negli ultimi anni; 730 milioni di vite umane salvate dai vaccini, 177 milioni di vite umane salvate grazie al miglioramento delle misure sanitarie e all’accesso delle cure. Tante vite umane sono state salvate grazie anche al progresso tecnologico che ha permesso di fare una diagnosi di una malattia, come i tumori, in maniera più precisa ed efficace e quindi di intervenire precocemente per il relativo trattamento.
La medicina e il progresso scientifico e tecnologico, negli ultimi decenni, hanno quindi “donato” vita a tante persone e strappato alla morte tanti pazienti, ma paradossalmente hanno spesso portato a prolungare uno stato “pseudo-vitale” di una persona consegnata inesorabilmente ad una morte inevitabile.
Con la nuova legge, una persona può finalmente decidere come e se proseguire un trattamento terapeutico, soprattutto se inefficace a contrastare l’irreversibile esito infausto della sua malattia; e pertanto la nuova legge stabilisce che nel rispetto della Costituzione viene “promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico il cui atto fondante è il consenso informato” (art. 1 della legge).
“Nella relazione tra medico e paziente – si legge poi nell’articolo 4 – rispetto all’evolversi delle conseguenze di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta può essere realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico, alla quale il medico è tenuto ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità”.
Il paziente ha il diritto quindi di non “sottostare” forzatamente all’accanimento terapeutico, il quale – secondo quanto riportato dal Comitato Nazionale per la Bioetica (1995) – è “un trattamento di documentata inefficacia in relazione all’obiettivo, a cui si aggiunga la presenza di un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente con un’ulteriore sofferenza, in cui l’eccezionalità dei mezzi adoperati risulta chiaramente sproporzionata agli obiettivi della condizione specifica”.
Il termine inglese futility treatment forse è più efficace nel definire l’inutilità o inefficacia dell’accanimento terapeutico “sul piano di un’evoluzione positiva e di un miglioramento del paziente, sia in termini clinici che di qualità della vita” (Comitato Nazionale per la Bioetica 1995).
Nessuna persona sceglierebbe di “vivere” una malattia, nessun uomo sceglierebbe di essere “violentato” clinicamente nella sua dignità, nessun paziente sceglierebbe di morire per “capriccio” e a nessun essere umano deve essere impedito il diritto all’autodeterminazione.
Victor Hugo scriveva che “Morire non è nulla; non vivere è spaventoso”. E non vivere una vita è altrettanto spaventoso. Una vita irrimediabilmente compromessa e violata dall’accanimento terapeutico è spaventosamente morta.
Sono pienamente d’accordo con il dottor. Musaro’. Finalmente!! La dignità anche nella morte. Restiamo umani.