Essere giovani non è mai stato semplice. Esserlo nel 2014, risulta quasi impossibile. Le età diventano molto relative, che tu sia un ragazzo di quarta classe, o di prima, non fa molta differenza. Si diventa grandi già da subito. Anzi, mi correggo: ci si sente grandi già da subito. La società odierna, d’altro canto, non fa altro che assecondare, non glie ne voglia Peter Pan, la voglia di diventare grandi, ancor prima di poter pensare di essere considerati tali.

Siam figli di un’epoca consumatrice per antonomasia, convinti che tutto sia facile, scontato: “Fumi a quindici anni?” – “Beh, è normale, lo fanno tutti”. L’ipocrisia dell’omologazione funge da scudo a noi adolescenti, che giustifichiamo così ogni nostro comportamento. Ho detto noi, sì. Anch’io faccio parte di questo processo degenerativo, anch’io sono colpevole di far parte di questo sistema. La china in pendenza verso cui una mano invisibile ci sta pian piano conducendo, creerà, in un futuro non molto lontano, una crisi di identità senza precedenti.

Ma siamo sicuri che le cause risiedano esclusivamente in noi ragazzi? L’analisi della situazione è, a dire il vero, ben più complicata ed affonda le radici all’interno delle principali istituzioni formative come la Scuola. Paradossalmente sono proprio i docenti a conoscere meglio noi giovani rispetto a noi stessi. Il risultato è questo: appariamo, già da qualche anno, come una generazione di impediti mentali. Come afferma Marco Lodoli in un articolo per “La Repubblica”, “Le capacità logiche appaiono irreparabilmente compromesse”. Semplicemente non siamo più abituati a pensare, a collegare persino eventi che avvengono innanzi ai nostri occhi. Altro che diventare più grandi, mi sembra di interagire in una società di tanti Benjamin Button: man mano che si cresce fisicamente si diventa più piccoli mentalmente. È un paradosso ma ben illustra lo stato della società attuale.

Non riusciamo a far nascere degli interessi, non ci preoccupiamo nemmeno riguardo agli eventi che accadono ogni giorno nel mondo. “Oggi l’interesse dominante degli studenti è uscire dalla scuola per andare non si sa dove”, afferma sconsolato un docente di un istituto tecnico in una lettera alla redazione de “La Repubblica”. Altro tassello mancante in questo quadro generale, è il rispetto verso i luoghi comuni. Le aule, ad esempio, sono sempre più teatro di battaglie che vedono, al posto delle armi, sedie e banchi. Non ci si rende conto che quei banchi, quelle sedie, sono frutto generoso di tasse cui hanno contribuito anche i nostri genitori. Inoltre durante le autogestioni si è soliti giocare a carte, fumare, passeggiare nei corridoi, “rifiutando ogni attività anche culturale alternativa” afferma ancora il docente dell’Itis. Eppure per quelle autogestioni hanno a lungo lottato anche i nostri genitori!

Sembra che la capacità di comunicazione ed espressione sia andata perdendosi sempre più per strada. Non si hanno ideali su cui dibattere né tantomeno valori per cui lottare, in cui credere per davvero al fine di migliorare questo nostro mondo. Siamo tutti dei rivoluzionari aleatori: poche parole, ancor meno azioni.

Il problema dunque non risiede all’interno dell’istituzione scolastica. Il problema siamo noi: incapaci di capire ed agire in relazione a quello che davvero desideriamo riguardo alla nostra vita, rischiamo di degenerare verso qualcosa di ancor più pericoloso ed inquietante. Venuto a mancare l’interesse verso lo studio o la cultura nel senso ampio del termine, si creeranno le condizioni necessarie affinché chiunque possa manipolarci a suo piacimento ed interesse. Benedetto Vetrecchi, pedagogista presso l’università “ Roma Tre”, denuncia questa realtà dei fatti, tanto dura quanto vera: “Sono figli del consumismo, quindi interessati al godimento immediato e continuo di beni. La cultura, che è ampiezza di pensiero, non gli interessa”.

Anche gli adulti, docenti e non, si stanno arrendendo al nostro disinteresse ed alla nostra codardia che configurano perfettamente il disagio della società intera. Dalla maggior parte dei giovani questi atteggiamenti sono considerati normali, consueti. Purtroppo, cari compagni, la realtà è un’altra. Ma forse anche questo, molti di noi, non sono capaci di comprenderlo. Sveglia, Italia.