Un concerto nella cattedrale di Otranto. Libretto di Tiziano Galati, musiche del maestro Biagio Mandorino
Riceviamo e pubblichiamo:
La Chiesa che è in Otranto celebra con gioia il giubileo episcopale del suo Pastore, l’Arcivescovo Donato Negro, consacrato il 10 febbraio 1994. Mons. Negro dopo aver servito la Chiesa lupine e il Seminario Regionale Diocesano è stato nominato Vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi e trasferito alla Sede Arcivescovile di Otranto il 29 aprile 2000.
Per celebrare l’evento, sabato 16 febbraio p.v., nello stupendo scenario della Basilica Cattedrale, il Coro della Diocesi di Otranto eseguirà in prima assoluta l’Opera Sacra “Credidimus Charitati. Canto d’amore”, su libretto di don Tiziano Galati e musica di don Biagio Mandorino, con la partecipazione della Scuola di Danza “Tutti in scena” della Maestra Emy Ferrari di Otranto, per le coreografie.
Quest’opera prende spunto dallo stemma e dal motto episcopale di Mons. Negro. Nella parte sinistra dello scudo vediamo rappresentata la Croce di Gerusalemme, composta da cinque croci che significano le piaghe del Signore, fonte della salvezza. Il motto episcopale “Credidimus Charitati”, “Abbiamo creduto all’amore”, tratto dalla Prima Lettera di Giovanni (1Gv 4,16) è la risposta dell’uomo all’amore gratuito e libero di Dio.
L’Opera, fondandosi sulla citazione giovannea, si sviluppa come un commento al Cantico dei Cantici, libro biblico che descrive l’amore umano come paradigma dell’amore divino. Questo libro, definito da Agostino “un poema santo, un poema d’amore, di amore santo, di santa carità, di santa dolcezza”, ma allo stesso tempo “un libro denso di misteri” (Sermo 46,35), ha sempre goduto di grande considerazione nella spiritualità ebraica, che legge questo rotolo nella liturgia della Pasqua, tanto da far dire a Rabbi Aqibà, che morirà martire nella seconda distruzione di Gerusalemme nel 135: “Il mondo intero non vale il giorno in cui è stato dato ad Israele il 5 Cantico dei cantici, perché tutte le Scritture sono Sante ma il Cantico dei cantici è il Santo dei Santi, cioè Santissimo”.
La Pasqua del Signore che “è la festa primordiale ed essenziale; è il nucleo fondamentale della fede”, come ascolteremo nell’Introduzione, è lo spazio vitale in cui è inserita tutta l’Opera Sacra che si sviluppa in tre atti. L’Introduzione e la Conclusione formano un’inclusione sulla realtà del mistero pasquale di morte e risurrezione del Signore e nell’intenzione degli autori questo mistero diventa anche un commento alle parole del Cantico dove leggiamo che “Forte come la morte è amore” (Ct 8,6), un amore dal quale nessuno di potrà separare perché è Cristo stesso.
Nel Primo Atto, “Il Duetto Io-Tu”, la creazione dell’uomo e della donna, secondo il duplice racconto genesiaco, e il dono che Dio fa dell’uno all’altro, diventa il commento alle parole del Cantico dove i due esaltano la bellezza del partner da cui sono conquistati. “Come i due ragazzi sono uno davanti all’altro, in quella situazione di desiderio, si parlano. L’amore umano deve essere un amore parlato proprio perché è l’incontro di due corpi ma attraverso due volti. E sono corpi umani, l’uomo è quando parla, l’uomo è quando comunica; se l’amore non lascia posto alla parola è animale, non è amore. Quando manca la parola anche l’incontro amoroso diventa voracità, soddisfazione del bisogno” (Enzo Bianchi).
Il Secondo Atto, “La ricerca dell’amato e dell’amata”, è un inno alla fedeltà di Dio che nonostante l’infedeltà dell’umanità, continua a cercarla, ad amarla, a perdonarla, a santificarla, a donarsi a lei. Emergono la caparbietà e la gelosia divine che non si scoraggiano davanti alla testardaggine umana.
Il Terzo Atto, “Il mio amato è per me e io per lui”, legge attraverso la vicenda di Maria Maddalena davanti alla tomba vuota, quella ricerca spasmodica e piena di desiderio che l’amata fa dell’amato attraverso le strade della città. Tutto si conclude con la formula della pura reciprocità, della mutua appartenenza, della donazione vicendevole e senza riserve: “Il mio amato è per me e io per lui” (Ct 2,16).
Ogni parte dell’Opera, come una professione di fede, è chiusa dal versetto da cui è tratto il motto episcopale di Mons. Negro, già citato: “Credidimus Charitati” che, in tutto il corso dell’Opera, si è manifestato come dono, ricerca, perdono, possibilità di ricominciare, conquista.
Sac. Tiziano Galati