
Essere cristiani, ieri e oggi…
Essere cristiani, all’inizio della storia del cristianesimo, era difficile per via delle violente persecuzioni. I primi cristiani si nascondevano nelle catacombe e non solo, e una volta scoperti affrontavano il martirio sotto la mano pesante dei regimi dispotici e colonialisti. Questi ultimi in realtà erano impauriti dalla potenza del germe della cristianità, da quella fragilità umana che sapeva farsi comunità di pace, amore, fraternità, condivisione e valorizzazione della persona, nel nome di un uomo processato bonariamente e morto in croce per i suoi insegnamenti.
Oggi essere cristiani, in alcune aree del pianeta, non è uno scherzo, non è una passeggiata, non è lo strascico di una tradizione religiosa o folkloristica avvertita dalle maggioranze da seguire per sentirsi parte di un insieme omogeneo, che rende “normale” una vita scandita dalle vacanze natalizie o pasquali. In Libia essere cristiani è un rischio per via delle pesanti persecuzioni ancora in atto contro la cristianità nonché contro gli individui che professano la fede in Gesù di Nazareth quale uomo, messia e divinità.
In realtà, date le sconvolgenti rigenerazioni socioesistenziali che la cristianità sviluppa nella coscienza pragmatica di chi si immerge in essa, in nessun angolo del mondo i cristiani dovrebbero essere dei conformisti di maggioranza. Dati i valori cristiani di solidarietà, accoglienza e ricerca incessante di una volontà che trascende l’individuo per guidarlo in un progetto di vita da donare al prossimo, i cristiani potrebbero essere tutto tranne che conformisti.
La tragedia delle esistenze cristiane in terre come quelle libiche è tuttavia una tragedia bagnata troppo spesso di lacrime e sangue. In Libia chi professa la religione cristiana rischia le persecuzioni, ed in particolar modo nelle zone dove sono presenti e attivi i gruppi estremisti della parte fanatica dell’Islam. Vicino a Sirte, ma anche dentro e fuori la stessa Tripoli, la presenza e il potere dell’Isis costringono molti cristiani a privarsi della facoltà di muoversi liberamente per non imbattersi in dolenti posti di blocco, armati e malintenzionati. Il numero dei cristiani in Libia ammonta a 34.500, ma la maggior parte di essi non hanno origini libiche; la maggioranza dei cristiani in Libia è infatti costituita da migranti e persone espatriate.
Molti tra quei pochi cristiani libici di origine familiare musulmana sono vittime di pressioni e condizionamenti da parte della società, a partire dalle famiglie, le quali non vedono di buon grado che i propri appartenenti rinuncino all’Islam.
La situazione per le minoranze cristiane è tragica anche in altri Paesi, come la Nigeria, dove su una popolazione di 206.153.000 persone i cristiani comunque sono parecchi, ossia 96.358.000. Secondo alcuni rilievi globali in Nigeria i numeri di persecuzioni omicide contro i cristiani in quanto cristiani, per la propria fede, sono tra i più alti al mondo. Chi violenta, incendia le case, uccide e lo fa in danno di cristiani difficilmente viene condannato dalla giustizia nigeriana, per via della presenza asfissiante e dittatoriale dei miliziani sui territori.
Anche in India, in Iran, in Yemen, in Eritrea e in tanti altri Paesi il livello di persecuzione in danno dei cristiani arriva a livelli di intensità spaventosi.
Ancora una volta il modello di Stato di diritto pluralista, federato in leghe sovrastatali di promozione e sorveglianza globale sui diritti umani, rappresenta una tra le migliori e più pacifiche soluzioni al dramma delle persecuzioni in generale.
La rivoluzione socioculturale d’ispirazione liberalpluralista ed umanista che si deve compiere con una nuova Internazionale di Agape e Lotta (ho trovato già il nome!?), vive l’eterno dilemma: è possibile esportare modelli, prassi ed esperienze da un gruppo di Paesi che si assumono più civili ed evoluti sul piano del diritto in altri Paesi? In questo auspicato progetto, con quali sensibilità e con quali pesi e metodi si deve considerare il fatto che ogni Paese ha il proprio peculiare percorso da compiere, con i propri nodi da far venire al pettine in un sentiero spesso tortuoso di maturazione? Sicuramente data l’urgenza e l’importanza della questione persecutoria per motivi religiosi, ed al di là di ogni considerazione astratta sulla legittimità, opportunità e giustizia politico-internazionali di esportazioni valoriali di diritto pubblico-costituzionale, non ci si può voltare dall’altra parte come se nulla stesse accadendo. Le pseudo-esportazioni valoriali avvenute fino ad oggi purtroppo sono avvenute nel nome della guerra; si pensi agli errori commessi con gli invii di contingenti militari in missione in Iraq, in nome di democrazie da esportare bonariamente e senza percorsi di transizione culturale alla base. Se il movimento pacifista risulta spento, si potrà ripartire dalle competenze che hanno portato le università a istituire corsi di mediatori culturali o cliniche di gestione dei conflitti etnici.
Ogni competenza, però, deve essere radicata in un insieme di identità individuali e collettive che si cibano di valori: si ricordi il particolare di Guernica di Picasso sulla lampadina che può rappresentare la scienza, che deve essere illuminata da umanità altrimenti potrebbe essere piegata per cattivi fini, come avvenne per l’energia nucleare e le bombe atomiche.
Il dossieraggio umanitario potrebbe farsi anche umanista. La benevolenza verso l’estero potrebbe essere coordinata strutturalmente all’interno di una missione di giustizia internazionale, come in una lotta transnazionale combattuta con una humanist lobbying culturale organizzata anche dagli Stati in quanto Stati, e non solo dai corpi volontari e dalle ONG. Al di là di ogni auspicabile ma astratto post-illuminismo esperantista di razionalizzazione universale dei diritti umani in ogni angolo della Terra, si potrebbe incentivare di più la formazione scolastica, universitaria e post-universitaria nella progettazione di percorsi condividi di gestione dei rischi internazionali, a tutela dei diritti umani delle minoranze perseguitate.
Il dialogo interuniversitario a livello transnazionale potrebbe portare i propri frutti arrivando anche nelle scuole delle “periferie esistenziali” dove qualche ragazza cristiana ha paura di esporsi liberamente allo sguardo denigratore dei propri compagni di classe, anch’essi vittime di un sistema di terrorismo squadrista imperante, che emargina la libertà religiosa, in quei casi cristiana. Altre soluzioni si facciano avanti, oltre le indifferentopoli.
[…] -“Controla persecuzione sui cristiani: l’Internazionale di Agape e Lotta”, pubblicato il 03.03.2021 su ‘Odysseo’. Ad oggi il link è: https://www.odysseo.it/contro-la-persecuzione-sui-cristiani-linternazionale-di-agape-e-lotta/ […]