Il professore Giuseppe Conte, durante la presentazione della squadra di Governo da parte del capo politico del M5s, Luigi Di Maio, Roma, 1 marzo 2018. Il ministro alla Pubblica Amministrazione che il M5s propone Ë Giuseppe Conte, professore di diritto privato. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Riflessioni a mezza voce “per fatto personale”…

Caro Direttore,
non richiesto, mi azzardo a scrivere per fatto personale, cosa che interesserà solo ai miei cari, ma io approfitto egualmente dell’ospitalità di Odysseo.

Ho l’abitudine di guardare i miei simili negli occhi e di valutarli da quelle che, una volta, si chiamavano finestre dell’anima, quando c’era l’anima. Vengo al dunque. L’altro pomeriggio guardavo il professor Conte, presidente incaricato del Consiglio, mentre dichiarava la sua volontà e la sua determinazione a guidare l’Italia cosiddetta del cambiamento. Cosiddetto, perché dalle sue parole, non ho capito come sarà questo benedetto cambiamento un po’ annunciato e un po’ minacciato.

Ha parlato come un unto del Signore, come quell’altro di Arcore, che almeno era stato eletto dal popolo. Ma non è questo il problema, la Costituzione prevede una simile evenienza, che abbiamo già sperimentato, ma allora grillini e lepenisti padani gridavano al golpe. Se ne sono scordati, forse perché non hanno ritenuto nessuno all’altezza fra gli oltre cinquecento parlamentari dei quali dispongono. Posso capirli, avanti Conte.

Ora, pensavo che Conte fosse una scelta moderata e di mediazione, per mascherare gli estremismi. Al contrario, le parole di Conte e il suo sguardo mi hanno inquietato. Ho avuto l’impressione che il prof sia un uomo ambizioso e disposto a tutto (anche a taroccare il suo curriculum, a che pro?); che non abbia nessuna voglia di apparire un servitore dello Stato; che abbia uno sguardo gelido da Marat de’ noantri, ma non per questo meno inquietante. Il suo piglio da tribuno della plebe ha partorito un banale e altisonante “avvocato del popolo italiano”.

Come primo atto, dopo i partiti, consulta le vittime di Banca Etruria e di Veneto banca. È stata l’esondazione che mi ha dato i brividi. Nella nostra democrazia il presidente del Consiglio risponde al Parlamento, non direttamente ai cittadini, che hanno i loro deputati e senatori di riferimento. I suoi mandanti Salvini e Di Maio hanno vinto le elezioni, non fanno fatto (ancora?) la marcia su Roma.

Avvocato difensore del popolo? Rispondo con le parole di un mio caro amico: avvocato? No, grazie, mi tengo il mio, è più bravo!


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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).