Si era insediata la Gelmini, non ricordo esattamente…

Come avviene ormai da decenni, essendosi insediato un nuovo Ministro dell’Istruzione, si è riaperta la discussione sul crocifisso nelle scuole pubbliche. Tenerlo o non tenerlo? È una di quelle discussioni finite ormai in un vicolo cieco del dibattito pubblico, e che però di tanto in tanto a noi italiani fa piacere ritirare fuori, non foss’altro che per esercizio dialettico. Una questione di lungo corso si potrebbe dire, talmente lungo da essere diventato tradizione. Dunque come ogni tradizione che si rispetti, tutti i cittadini di questo Paese, o quasi, hanno un ricordo ad essa collegato, ed io, in questo caso, vorrei parlarvi del mio.

Poco meno di 20 anni fa, frequentavo una delle ultime classi del liceo, al governo c’era Berlusconi, e a un certo punto tutti presero a parlare del crocifisso nelle aule. Probabilmente perché si era insediata la Gelmini, non ricordo esattamente. Nel nostro istituto il problema non si poneva, visto che il preside anni prima aveva provveduto a far rimuovere qualsiasi simbolo religioso (questo a riprova di quanto sia importante il pronunciamento di un ministro sulla questione). Eppure noi giovani studenti di sinistra, appassionati di politica, c’interessammo alla faccenda, anche con certo ardore.

Del resto era l’ennesima occasione di parlar male di Berlusconi e non potevamo farcela scappare.
Di fronte a un problema del genere i professori di filosofia divennero gli interlocutori privilegiati. Fra di loro c’era Michele Palumbo, oltre che docente, anche giornalista e scrittore. Palumbo più che una persona era un punto cardinale, non solo per noi alunni della scuola, ma per gran parte della città. Serviva a molti ad orientare la bussola sulle più svariate questioni quando ci si ritrovava smarriti. Uomo di sinistra, neo-illuminista, appassionato dell’umorismo più sofisticato, fu lui a sconvolgermi le certezze che avevo in fatto di crocifisso a scuola. Ci riuscì, neanche a dirlo, con una battuta.
In uno di quei giorni in cui tutta la nazione non si occupava d’altro che di crocifisso nelle aule, ci mettemmo a parlarne con lui durante un intervallo. Eravamo certi che anche lui, forte delle sue convinzioni illuministe, sarebbe stato strenuamente contro il mantenimento di un simbolo religioso così esplicito in uno spazio di proprietà dello Stato, spazio in cui per giunta si andavano formando i futuri cittadini. Ed in effetti, di base, lo era.

Eppure dopo averci ascoltati, mentre raccoglieva le sue cose per andar via, fece un sorriso e disse “alla fine ragazzi il problema non è togliere o tenere il crocifisso, si può pure togliere, ma tanto dopo che l’hai tolto rimane l’impronta sul muro”. Ci salutò fra le risate generali e sparì in fondo alle scale.
Subito dopo le risate, ripensandoci su, mi convinsi che con quella battuta il professore aveva centrato la questione, e soprattutto, con quattro parole, l’aveva resa superflua. Da allora penso che la questione del crocifisso nelle aule non si ponga perché è lungamente superata dalla questione della sua impronta. Che piaccia o meno, non solo c’è l’impronta del crocifisso sul muro delle aule, ma anche nei libri, nei programmi ministeriali, nel modo di concepire le lezioni, nel modo di relazionarsi fra gli studenti, addirittura nel modo di costruire le scuole. In Europa, e ancor più in Italia, c’è l’impronta del crocifisso ovunque. Questo è un fatto, ed è ineluttabile, e come ogni fatto ineluttabile, dovrebbe rasserenare tutti. È così che risolse – a mio avviso, una volta per tutte – la questione dei crocifissi nelle aule Michele Palumbo: un ateo che seppe mettersi l’anima in pace.


1 COMMENTO

  1. Caro Andrea, Michele non era affatto ateo. Non avrebbe mai usato un termine preciso e tautologico per dare forma ad un dubbio, affermando una certezza.
    Ecco perché la forma era più importante dell’oggetto in sé.

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