Terza e ultima tappa del reportage tra le esperienze di una generazione di italiani che hanno deciso di trasferirsi negli Stati Uniti

Chicago è famosa per essere la windy city – città del vento, per la sua collocazione a ridosso dei grandi laghi americani, ma anche la città del Blues e, tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ’90, la Mecca di tutti gli appassionati di sport che andavano ad ammirare le gesta di Michael Jordan e i Chicago Bulls. In poche parole una città di assoluto culto.
Ma non solo: a poche miglia dal centro cittadino c’è l’Argonne National Laboratory (ANL), uno dei più importanti e antichi centri di ricerca negli USA, frequentato anche da Enrico Fermi per le sue ricerche durante la seconda guerra mondiale, da cui sono uscite numerose innovazioni che hanno contribuito allo sviluppo tecnologico dell’umanità. In questo centro lavora Maria, di Andria, laureata in Fisica Nucleare a Pisa e ricercatrice a Chicago.

Maria,  vuoi raccontarci il tuo percorso accademico e come ti ha portata negli Stati Uniti?

Dopo aver conseguito la Laurea in Fisica Nucleare, ho cominciato un Master in fisica delle interazioni fondamentali a Pisa che mi ha fatto conoscere uno dei tanti accademici italiani emigrati negli Stati Uniti. Dopo alcune lezioni, mi è stato proposto di trasferirmi in America ma, se devo esser sincera, all’inizio non volevo andarci. Non mi sentivo pronta sia per quanto concerne la lingua, che per il distacco dagli affetti e il cambiamento repentino di stile di vita. Dopo aver terminato il Master, su insistenza dei professori e dei miei genitori ho deciso di accettare l’invito e trasferirmi all’Old Dominion University di Norfolk, in Virginia, dove ho poi conseguito un Dottorato in Fisica.

Come ti sei trovata in Virginia? Che differenze hai riscontrato con l’ambiente universitario italiano?

C’è stato un percorso di adattamento che ha richiesto tempo, soprattutto legato la lingua. Mi sono iscritta immediatamente ad un corso di inglese e all’inizio non mi piaceva niente e mi lamentavo di tutto. Ma col tempo e anche grazie ai viaggi in Italia, ho imparato ad apprezzare quanto di buono abbiamo noi italiani e quanto di buono offrono gli USA.
Il cibo è stato un dramma all’inizio (ride – ndr). Però qui mi son presa la prima sgridata quando ho chiamato il mio professore per titolo e non per nome. In questo l’Italia e molti paesi europei sono molto indietro: il rapporto che si è creato nell’ambiente accademico e, in un certo senso, di condivisione di idee, è stato essenziale per il mio adattamento e per il superamento delle prove che man mano dovevo superare per continuare a studiare. In più qui l’università ti premia nel senso letterale del termine. Ogni risultato viene incentivato da borse di studio e agevolazioni che ti permettono di investire sempre più nel tuo percorso accademico e sulla tua vita. Sei importante per loro e fanno di tutto per valorizzare il tuo talento.

Di quali visti hai usufruito?

Inizialmente ho avuto un visto per studenti che dura 5 anni. Dopo aver conseguito il dottorato, il governo ti concede un visto biennale per trovare lavoro, di cui sto usufruendo tuttora, e cominciare le pratiche per ottenere il visto permanente.

Finito il Dottorato, come mai ti sei trasferita a Chicago? Come ti trovi? Cosa pensi ti riservi il futuro?

Chicago è una città bellissima. Ha alcuni problemi di criminalità, legati soprattutto alle zone periferiche, ma nel complesso ha una vivibilità ottima. In più sono stata fortunata a trovar casa in una zona a ridosso del lago, frequentata da molti miei coetanei.

Dopo alcune application, sono stata assunta all’ANL come ricercatrice e devo dire che l’ambiente di lavoro non è molto diverso da quello accademico. Ho libertà di occuparmi di ciò che ritengo importante per me e la mia carriera e, anche qui, sei premiata per i risultati che raggiungi. In più questo lavoro mi permette di girare l’America per conferenze, eventualità in cui approfitto anche per visitare posti che altrimenti sarebbero irraggiungibili per questioni di tempo.
Per il futuro non saprei: mi trovo molto bene qui, spero di poter continuare ma, come ogni ricercatore nel mondo, i contratti sono a tempo determinato ed è difficile pianificare con certezza la propria vita.

Quando ci siamo sentiti la prima volta ho pensato di intitolare l’articolo “Cervello in fuga a Chicago”. Ma tu ti senti un cervello in fuga?

Anche se non ci sono molte possibilità non mi sento un cervello in fuga per il semplice motivo che, dopo la mia laurea a Pisa, non ho proprio provato a rimanere in Italia. Ho colto l’offerta che mi è stata fatta all’epoca e sino ad ora non ho ancora mai provato a rientrare in Italia. Di certo non escludo la possibilità.
Il mio percorso mi ha insegnato l’ottimismo e il saper cogliere gli aspetti positivi di ogni esperienza. E questo vale sia per gli Stati Uniti che per un eventuale ritorno in Italia.